Con vivo piacere ripropongo  la nota di lettura della poetessa Tiziana Marini al mio “Flauto di Pan unito al vento”, apparsa questa mattina sul suo blog (iconditizianamarini.blogspot.com), ringraziandola sentitamente (a/m):

 

 La ‘’nettezza’’  e il ‘’verso  schietto’’ nelle nuove poesie di Andrea Mariotti.

Nota di lettura di Tiziana Marini per  ‘’Il  flauto di Pan unito al vento’’ (Macabor, 2025)

La nuova silloge poetica di Andrea Mariotti dal titolo ‘’Il flauto di Pan unito al vento’’ (Macabor, 2025), è un esempio di novità e continuità nella poetica dell’Autore, continuità per il rigore stilistico ed etico che la contraddistingue, come recita il distico ‘‘E’ l’unica vittoria concepibile/ quella su se stessi. Dura e intangibile’’, e novità in quanto la dimensione naturalistica, sempre presente nella poetica dell’Autore, qui ha le sembianze  di una natura stravolta, ribelle e in qualche modo  ostile all’uomo e alle sue vicende, come si evince per esempio  nei versi ‘’Manicheismo del rovente clima/ha stravolto quest’anno un mese amico/facendoci piombare in tardo autunno/da un giorno all’altro con brutalità…’’. Di certo però la novità più grande è che la Storia e l’Uomo,  da sempre valori centrali per l’Autore , qui vengono raccontati alla nitida luce  della più  ferrea  ‘’indignatio’’, lo sdegno provocato da una società colpevole che ci riporta alle Satire di Giovenale, una qualità che dà  un senso sempre più liberatorio alla scrittura poetica di Mariotti,  dedicata  nel suo complesso  ai ‘’cari poeti’’, Dante, Manzoni, Leopardi, Caproni,  alla vena civile della loro scrittura, e all’uomo del presente, il fortunato lettore.

Si puo’ affermare che la poesia di Mariotti, per chi la conosce da tempo, ma anche per chi vi si accosta per la prima volta, è  un impasto, rigoroso ed etico, tra  storia,  natura e uomo,  addolcito nella fattispecie da sguardi bonari e nostalgici, in un tutt’uno, limpido e coerente  di ricordi emblematici, talvolta dolorosi ma sempre pragmatici, della storia collettiva e  personale, confluenti gli uni negli altri, in un ventaglio emotivo sempre in movimento  e offerti al lettore come lampi luminosi. Ed è forse proprio questo ventaglio emotivo a muovere l’aria e a creare il  vento che il flauto di Pan del titolo modula  in mille armonie e significati,  come i coriandoli di  un sapiente numero di magia.

Il libro,  spalmato nei lunghi tempi della Storia, è dedicato, come dicevamo, ai poeti più importanti della nostra tradizione letteraria, formativi e fonte d’ispirazione per Mariotti,  ed ha  la prefazione acuta e sapiente di Anna Maria Curci, la quale sottolinea ed  individua  l’efficacia e la solidità dei testi  nella loro salda  struttura metrica ‘’…La precisione e la cura del dire sono ulteriormente evidenziate dalle scelte metriche, che variano, talvolta anche all’interno del singolo componimento…’’. Diviso nelle sezioni Annus Horribilis, Quattro lapidi, Più di mezzo secolo fa, Cinque distici, Diario del 2022, il libro si dipana in una narrazione nella quale la parola poetica, concentrata al massimo e ridotta alla sua essenza, amplifica significati, verità  e potenza,  come mai prima.

 La protagonista assoluta è dunque  la Storia, una storia che parte  dagli anni ’50, ed è vista dapprima con occhi di Andrea bambino che ascolta con commozione consapevole le parole  di  papa Giovanni XXIII nel famoso ‘’discorso alla luna’’ dell’ottobre del 1962,’’…tornando a casa/portino i genitori la carezza/del papa ai loro bambini, dicendo/una parola buona…’’,  per continuare poi con Andrea adolescente, ragazzo e infine  uomo, durante  gli eventi tragici degli anni ‘60, gli attentati mortali a Martin Luther King e John Fitzgerald Kennedy, la guerra del Vietnam, fino al Maggio francese e ai nostri ‘’anni di piombo’’, per giungere  agli eventi tragici dell’assassinio, mai realmente indagato e punito,  di P. P. Pasolini, ormai mezzo secolo fa ‘’…sì, quello della nascita di un vento/di nome Pier Paolo Pasolini/massacrato da luridi assassini/tuttora ignoti per bieca congiura…’’ e del giovane Willy Duarte, ‘’…Notte di Colleferro/non sfuggirci di mano/smemorati siam troppo/nella polis che muore’’, in tempi recentissimi, ricordo che apre la prima sezione della silloge a sottolineare che forse  nella Storia il tempo è sempre attuale, nel suo ripetersi,  in senso vichiano, pur nelle differenze, per concludersi infine  con gli anni della pandemia, dell’invasione russa dell’Ucraina e della paventata guerra globale. Decenni, dunque, in cui gli avvenimenti  si susseguono nella duplice veste, personale e collettiva, decenni che hanno segnato, con  motivazioni diverse, la nostra coscienza.

Così appare in tutto il suo valore anche il titolo. E’ la storia ad essere portata dal vento, il vento  del ricordo e dei sentimenti che esso suscita,  modulati da un  flauto di Pan  che unisce le vibrazioni leggere, veloci e talvolta strazianti delle  melodie  di  Gheorghe Zamfir alle frequenze armoniche che risuonano nella parola poetica, soffi, fiati acuti che si insinuano nello strumento, nelle sue canne decrescenti,  amplificati in note asciutte, precise ed evocative. E’ un flauto di pace,  vibrante, ispirato  da un vento che è anche  coscienza e commozione, ‘’… Quel ventiquattro del mese, io tornavo/dai Castelli Romani con incauto/diletto; chè tutto mi perdonavo, pieni i polmoni d’aria pura…il flauto di Pan unito al vento…’’, ma anche  ironia, amarezza sarcastica,  lama affilata e precisa, coraggio senza rassegnazione, è il suono di un flauto virtuoso, tradotto in scrittura, nel quale la datazione esatta dei fatti, come in ‘’un non tenero diario’’,  scandisce con efficacia il tempo che passa e lo ferma, lo colloca  nella Memoria al punto giusto, alternando eventi epocali e lutti a speranze, sempre disattese.

 Colpisce la sintesi che diventa analisi, nel momento in cui induce alla riflessione, trasformata poi in amara e lucida denuncia, senso di perdita e domanda senza risposta ‘’…No, non ci riavremo/presto; la mutazione corre, saremo cosa?’’  Questo si chiede il ‘’verso schietto’’ e netto di Mariotti, il cui sguardo poetico e critico sul mondo e sulla natura umana è sempre più forte, determinato e libero e l’interrogativo del verso non riguarda certamente solo il virus pandemico mutante, ma il  mondo intero che sta andando, chissà come, ormai chissà dove.

Tiziana Marini

 

 

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Con vivo piacere propongo la recensione di Anna Maria Vanalesti alla mia ultime silloge, apparsa sull’ultimo numero della Rivista di Poesia “Il sarto di Ulm” diretta da Bonifacio Vincenzi e Silvano Trevisani, Macabor Edizioni, Anno VI, numero 23-2025 (a/m):

 

La poesia di Andrea Mariotti

nella silloge

Il flauto di Pan unito al vento

 

C’è un araldo della poesia nei giorni bui del nostro secolo violento ed è Andrea Mariotti, che se ne fa portavoce, mentre valica montagne e valli, eterno viandante in mezzo alla natura, in un continuo peregrinare alla ricerca della parola poetica che ridisegni il mondo. Egli è attento come pochi alla musica, capace di captarne e seguirne il sentiero, in un paesaggio che gli si offra solitario per essere penetrato in profondità. Già nella raccolta La tempra dell’autunno si era evidenziato tutto ciò, unitamente ad una forte componente etica che sosteneva il dettato poetico, dirigendolo verso l’aspirazione ad un riequilibrio dei valori morali e alla rinascita di un’umanità più consapevole del suo ruolo e delle sue responsabilità sul pianeta.

In questa nuova raccolta, che sin dal titolo (Il flauto di Pan unito al vento) si annuncia foriera di nuovi percorsi musicali, intrecciati a nuovi contesti reali, il poeta si sente investito di un ruolo civile intenso, che lo vede in prima linea, contrapporsi all’odio, alle guerre, alle ingiustizie, alle prepotenze, ai disastri ecologici. L’indice del libro segnala i titoli delle sezioni che compongono un cammino individuale e collettivo, come suggerisce l’ottima prefatrice, articolato in parti della silloge, diverse ma sempre derivanti da un’osservazione della realtà circostante e soprattutto dal vissuto personale. La poesia di Mariotti non è mai astratta, non si abbandona a voli pindarici, non cerca un banale lirismo, né mai sfocia in patetici sentimentalismi. Mantiene invece un vigile e fermo controllo dell’esperienza umana e si avvolge intorno ad eventi spesso drammatici e irrazionali, che colpiscono le precarie forze dell’uomo e delle sue regole, di giustizia, libertà e democrazia. Così, nell’allusione all’assalto del congresso negli Stati Uniti, istigato da Trump; così nel ricordo della tragedia del Ponte Morandi e della funivia di Stresa – Mottarone; così in altri momenti trascorsi durante l’adolescenza e segnati da ricordi epocali, come la guerra del Vietnam, l’uccisione di Martin Luther King e Robert Kennedy e la carezza di Papa Giovanni mandata in dono ai bambini nella notte dell’undici ottobre 1962. Sono testimonianze rimaste custodite nel cuore del poeta fanciullo, conservate fino ad oggi e affidate alla poesia.

Per sua consuetudine di scrittura Mariotti si affida al metro e al ritmo: lo vediamo nei Cinque Distici, ognuno dei quali, in due soli versi sembra voler stigmatizzare, quasi aforisticamente, una verità acquisita, una formula morale che spieghi ciò che sta accadendo. (La neve come sempre è lo stupore/tutto tace nel regno del candore), ma è l’ottava rima quella preferita dal poeta. Tutto il suo sistema ritmico si costituisce attraverso assonanze e consonanze, improvvise rime con graduati toni e semitoni, con un’ampia scelta di versi settenari e ottonari, endecasillabi e novenari, senza esclusione alcuna, in una composizione musicale di suoni e parole, che spesso si adatta alla musica della natura. Non a caso Mariotti ha pensato al flauto di Pan unito al vento, avendo di persona esperimentato, durante le sue solitarie escursioni in montagna o nei boschi, il prodigio del vento che si insinua in ogni foro o pertugio, o anfratto, creando e  modulando la sua musica. Questo si avverte molto di più nella precedente raccolta La tempra dell’autunno, anche perché lì egli gioca sul tempo, oltre che sullo spazio, e scandisce la presenza della natura in una scala di intonazioni e prove di voce. In questa raccolta, però, la cifra musicale non compare mai da sola, ma sempre associata ad un tema fortemente sentito e legato a cose e persone, oserei dire un tema civile e sociale.

Mariotti è un uomo gentile, sensibile, amante della bellezza e di due arti indissolubilmente legate, poesia e musica, (non di meno della pittura), un solitario cantore che comunica con il mondo circostante, con la mitezza del suo animo, che gli consente di andare incontro agli altri. Questo suo carattere, tuttavia, non lo conduce a comporre poesie di puro lirismo, o di assoluto abbandono sentimentale, perché obiettivo prioritario del poeta è la razionalità e l’eticità della sua composizione, ovvero il magistero che la sua parola poetica vorrebbe compiere e lo sforzo enorme di realizzarlo. Lo soccorrono le due corde costanti della sua poesia, la musica e il grande amore per la natura, il cui libro Mariotti sa leggere senza vantarsene e di cui sa cogliere, se non il mistero, la voce. Ecco quindi materializzarsi la voce di Pan e quella del vento, in un gioco di ritmi, di rime, di distici, di ottave. Si leggano alcuni passi a mo’ di esempio:

Viene febbraio, e torva primavera

avvolge lo Stivale; la minaccia

di un climatico caos qui s’invera,

come non è mai stato prima; traccia

d’inverno non esiste, di bufera

sugli alti monti; ovunque la bonaccia…

dal Frecciarossa ho visto i sitibondi

campi padani, tristemente biondi

(dal Diario del 2022)

 

Questo bearsi della solitudine

è l’altra faccia dell’amaritudine

(da Cinque distici)

 

Siamo zebre sbiadite sull’asfalto

e stragi di pedoni denunciamo.

 

Moda e Morte si dicono entusiaste

dei barbari che centrano il bersaglio

(da Caput Mundi in Bestiario)

 

Certo non è semplice né facile seguire il percorso mariottiano, possiamo solo percepire la sua emozione, avvertire i suoi intenti e prendere coscienza della misura della sua poesia, nella quale persino l’ironia si stempera e diviene sottile motivo di difesa, quasi   apologetico, dei valori umani da salvare.

Giova rivedere e considerare la struttura del libro, cercando di capire come sia stata fatta la sistemazione editoriale di queste poesie che, anche se scritte in occasioni varie e in differenti momenti, hanno finito per delineare un itinerario preciso, di memoria, di cronache di eventi, di riflessioni sulla nuova umanità dei nostri giorni, di drammi contemporanei e del passato, in sostanza un itinerario di vita nostra e del nostro paese. Lungo questo itinerario sono numerosi gli episodi drammatici, basta leggere il titolo della prima sezione Annus Horribilis, con il suo incipit che ricorda l’assassinio del giovane Willy, un dolore atroce senza spiegazione, se non la barbarie dell’animo umano. Quindi si imbocca il sentiero della pandemia e dell’attacco del virus che portò alla claustrofilia, e si palesano, una dopo l’altra, composizioni colme di constatazioni dolorose, su cui spesso campeggia “la Grande Mietitrice”, la morte, vista come trionfante sulle tragedie dell’uomo. Poi, dopo la pausa dei distici, che sembrano distendere l’animo, in una velata rassegnazione, le due ultime sezioni di Diario del 2022 e Bestiario riconsegnano la poesia ad una razionalità accettata che rasserena il cuore affranto. Si legga Nel porto di Santa Marinella, ultima lirica dell’ultima sezione della raccolta, in cui si allude ad un lutto, ad una perdita, che non toglie però senso alla vita, perché con il dolore si può convivere e la poesia aiuta in questo. L’elemento più tenero della poesia è certamente quel parrocchetto iniziale, che vediamo chiuso nel pugno della mano, un piccolo esserino impaurito che ridimensiona la visione di tanti smisurati mali dell’esistenza, ed è in lui la capacità di accendere di speranza di chi soffre, di recargli un messaggio da parte della persona cara perduta.

 

Quel parrocchetto nel nido del tuo

pugno, fraterno amico, non voleva

volar via; impaurito e inappetente,

cosa frullava per il suo capino?

 

poi ciangottando forte, già da te

adottato, eccolo spiccare il volo…

di tua moglie nell’Erebo un messaggio

avevi ricevuto, questo subito

 

hai sentito: l’invito a riemergere

dal lutto mi è piaciuto immaginare!

ché lo vedo, riluci di bontà,

ed anche il parrocchetto se n’è accorto.

 

Non voglio farti santo, amico mio;

dico soltanto che possiedi un cuore

grande, e questo a riflettere mi spinge

sul senso della vita a conti fatti.

 

Il parrocchetto, piccolo e fragile, diviene elemento che ristabilisce un’armonia nel vivere, accettando la sofferenza e proseguendo nel vivere. Direi che l’universale assorbe il particolare e si ricompone l’equilibrio interrotto dalla perdita. Operazione che solo la poesia sa fare, che solo la parola poetica può interpetrare. Da segnalare l’efficace onomatopea del verbo ciangottando, adottato dal poeta in un impeto inventivo di creatività.

Ho riservato per ultima una breve riflessione sulla dedica premessa da Mariotti a questo libro; leggiamo “ai miei poeti” e comprendiamo, dopo aver analizzata tutta la raccolta non solo chi sono i suoi poeti, ma anche con chi egli dialoghi comunemente e continuamente nella sua quotidianità. Sono Dante, Leopardi, Manzoni, Caproni, i più amati e frequentati e non ultimo Pasolini al quale scioglie un cantico che è un vero compianto. Di essi il nostro poeta ha trattenuto molti modi e forme: il profondo e misterioso senso dell’essere, la dignità morale, il linguaggio chiaro e mai compiaciuto, la simbologia, legata alla concretezza della realtà (ciò specialmente assunto da Caproni). Sono tutti elementi che Mariotti ha acquisito e fatto propri, durante le sue letture interiori di questi amati compagni di viaggio, grazie alla sua prodigiosa memoria, lungamente esercitata nella sua vita.

Tali motivi, che trasalgono dal background culturale di Mariotti, vanno ad aggiungersi e a mescolarsi alla sua notevole cultura musicale (nella quale penso domini sovrano il genio di Mozart) e danno luogo a quel suo inconfondibile linguaggio, che persino durante un excursus ironico, non rinuncia al ritmo. Ne è una testimonianza “La poesia”, la prima lirica della sezione Bestiario.

Son convenuti in tanti all’obitorio,

tu chiamali se vuoi dottori egregi

di poesia: questo il loro tempio,

zecca di teoria, e qui tagliuzzano

 

con metodo l’Apollo irrigidito

sul tavolo, ebbri di modernità.

Borbottando fra loro con ieratici

conati che rafforzano l’aplomb

 

e carriere: Bellezza è peccatrice,

fuori moda; di rito in tono grigio

e il ghirigoro oggidì, per esistere

come poeti in aristocrazia.

 

Ostentano uno scaltro nichilismo

infine lor signori; con semantica

indistinta calpestano il lettore

sfortunato, supposto che ci sia.

 

Il testo è un esempio della misura linguistica adottata da Mariotti, una misura volutamente parca, minima, attinta dal quotidiano, ma bagnata nei ritmi e nelle cadenze che il poeta sa riprodurre con grande perizia da musicologo.

 

ANNA MARIA VANALESTI

 

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RECENSIONE-INTERVISTA DI ELISABETTA PAMELA PETROLATI AL “FLAUTO DI PAN UNITO AL VENTO”


 

Con piacere qui propongo, con viva gratitudine, lo scritto suddetto di Elisabetta Pamela Petrolati relativa alla mia silloge. Tale scritto è apparso (da pag.33) sulla Rivista di Cultura & Società “AGIRE sociale news”, diretta da Michele Petullà (Anno IV, n.IV; luglio-agosto 2025, a/m):

ANDREA MARIOTTI, “IL FLAUTO DI PAN UNITO AL VENTO”, MACABOR EDIZIONI, 2025 – Conosciamo l’autore attraverso un’intervista dedicata alla sua opera

 

È per palati sottili l’ultima raccolta di poesie di Andrea Mariotti, intitolata Il flauto di Pan unito al vento, Macabor edizioni, 2025, che gode dell’attenta prefazione di Anna Maria Curci.

In questo articolo si propone un’intervista realizzata con l’autore per offrire al lettore la sua voce diretta e per proporre non tanto una interpretazione critica dell’opera trattata, bensì la parola viva del poeta che condivide la sua interiorità. Chi meglio del poesta stesso può parlare di sé, del fervore della propria ispirazione, dell’evoluzione di scrittura quale scoperta interiore che si genera nel dipanarsi della propria storia personale e della realtà circostante?

Andrea Mariotti è nato e vive a Roma. Laureato in Lettere Moderne all’Università La Sapienza, con una tesi sullo Zibaldone di Giacomo Leopardi, poeta di cui è massimo esperto.

Ha pubblicato, pima di questa ultima opera, quattro raccolte di poesia, tutte premiate: Lungo il crinale, Bastogi Editrice italiana, 1988; Spento di sirena l’urlo, Ibiskos Editrice Risolo, 2007; Scolpire questa pace, edizioni Tracce, 2013 e La tempra dell’autunno, Bertoni Editore, 2020. Sue poesie sono apparse su varie riviste letterarie. È stato redattore, nel passato decennio, dei Fiori del Male, pubblicazione quadrimestrale di letteratura. Di grande significato letterario e spirituale per il poeta è la sua attività legata alla “lettura interiore” (ossia a memoria) di canti leopardiani e della Divina Commedia (disponibili anche su youtube). Questo suo esercizio di metabolizzazione interiore degli amati versi e di espressione verbale consentono agli ascoltatori di godere pienamente, in profondità e grande emozione la ricchezza straordinaria dei grandi poeti e in particolare del Sommo Poeta.

Senza anticipare troppo le rivelazioni che  Andrea Mariotti di seguito darà, rispondendo alle domande, si può convenire con la prefatrice Anna Maria Curci che, come caratteristica generale della raccolta “la cura, l’esercizio, il rigore nell’espressione poetica si sposano con cura, esercizio e rigore – verso di sé ancor prima che nei confronti degli altri – nel serbare memoria, nel difendere dall’oblio, nel coltivare la fede nel bene comune”.

 

D – Come prima domanda chiediamo ad Andrea Mariotti il significato e le motivazioni della scelta del titolo della raccolta poetica che stiamo presentando, titolo originale e alquanto evocativo.

R – La scelta del titolo, suggerita da un verso del breve poemetto “Diario del 2022” incluso nella

raccolta, mi è sembrata significativa nel comunicare la volontà di pubblicare un libro di poesia civile (il “vento”), focalizzato sui tempi difficilissimi che stiamo vivendo; senza però rinunciare alla mia istintiva

inclinazione alla metrica della nostra grande tradizione (“Il flauto di Pan”); ossia la musica, la doratura artigianale di una poesia classicamente intesa e che per me tale deve rimanere a maggior ragione nel registrare l’urto crudo della Storia e della attualità.

D – Come nasce l’dea di questa raccolta e la sua singolare strutturazione interna? Quanto tempo ha impiegato per scriverla?

R – L’idea della raccolta è nata nell’autunno del 2020, in occasione del feroce assassinio di Willy Monteiro

Duarte, e sappiamo il peso paradigmatico della poesia incipitaria, in una silloge poetica guidata da coscienza letteraria: tale, in effetti e nel mio caso, da orientare fortemente il libro sul filo dell’indignazione, della passione civile (“Facit indignatio versum”, per dirla con Giovenale). In sostanza, profonda è stata la mia percezione, nel suddetto autunno, dell’apertura di un decennio oscuro, per non dire rovinoso, causa dirompente naturalmente lo scoppio della pandemia da corona-virus con il primo mestissimo e indimenticabile lockdown del marzo dello stesso anno, qui da noi in Italia. L’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa nel febbraio del 2022 non ha che confermato, in corso d’opera, la succitata mia percezione. Il libro ha visto la sua poesia conclusiva nel dicembre 2024, con il genocidio ancora in corso, purtroppo, nella Striscia di Gaza da parte di Israele, scatenato dall’attacco del 7 ottobre 2023 ad opera di Hamas. “Dulcis in fundo”, la rielezione di Trump negli Stati Uniti a novembre 2024, con la successiva rottura del Patto Atlantico in essere per ottant’anni. Insomma, e per non dilungarmi nella risposta, ho voluto un libro austero, molto coeso, sotto il segno di Marte e non di Venere, direi; frutto pertanto di autocensura implacabile, in quanto parecchie sono state le poesie da me accantonate in vista della pubblicazione.

Proprio per potermi rivolgere al lettore con una raccolta tutt’altro che occasionale, esile se vogliamo quantitativamente, ma con un disegno d’insieme ferreo ed evidente.

D – Rispetto alla precedente opera, intitolata “La tempra dell’autunno”

che differenze stilistiche, di intenzioni e di prospettiva possiamo

riscontrare rispetto al “Flauto di Pan unito al vento”?

R –  Rispetto alla precedente silloge pubblicata nel 2020, e cioè “La tempra dell’autunno”, la novità credo più dirompente nel “Flauto” è senz’altro quella di un sentimento metrico -così definirei il mio istintivo far poesia in endecasillabi, settenari a altri metri della nostra grande tradizione atto a misurarsi e a fondersi con un contenuto antilirico per eccellenza.

D – La dedica iniziale “ai miei poeti” rivela una grande gratitudine nei

confronti dei grandi “maestri” della letteratura che hanno formato

l’Andrea Mariotti poeta. Un Andrea Mariotti forse completamente uscito dalla soggettività espressiva a favore di un poeta completamente intriso delle umane vicende e rivolto al sentire dell’altro.

R –  Non posso che annuire circa la lettura critica di quest’ultima silloge espressa nella domanda. Ho voluto in effetti mettere un punto fermo nella mia esperienza di poeta, prendendo le distanze da me stesso e dunque dalla soggettività lirica; cercando di essere, secondo le mie forze, un testimone del tempo e, contemporaneamente, per la tensione etica veicolata dai versi, un “sognatore”; nel senso di voler alludere a un mondo migliore, così come dovrebbe essere, anziché così com’è, nella sua crescente disumanizzazione e brutalità.

D – Quanto è importante per lei l’utilizzo della metrica, di cui è maestro e che ben destreggia in tutti i testi di questa raccolta?

R – Nel rispondere a questa domanda, non posso che rimandare a quanto già detto, e cioè il sentire riconoscere dentro di me un vero e proprio “sentimento” metrico, in grado di illimpidire il dettato poetico; e, ovviamente, in tensione agonistica con il reale, sino a una fusione spero riuscita; vale a dire la “mia voce”, oso sempre sperare. Guai al poeta arcadico, sospiroso e autore di endecasillabi scolastici e asfittici, di quest’ultimi non avendo davvero bisogno il lettore, me ne rendo fin troppo conto! solo che questo stesso lettore va in ogni caso rispettato, giacché svariati poeti oggi hanno preso troppo alla lettera la raccomandazione montaliana di una poesia che vada verso la prosa senza però esser prosa. In tale “modernità” non ho mai creduto, reputando la poesia musica del pensiero, e al tempo stesso del cuore, in

senso tutt’altro che patetico-sentimentale.

D – All’interno della raccolta è presente un poemetto straordinario: vuole condividerne l’idea generatrice e spiegarne il percorso di significato?

R –  Il breve poemetto al centro della raccolta “Diario del 2022”, è in effetti, la prova poetica più ardua da quando, ancora adolescente, tentai i miei primi versi. Con quel “dolore cosmico” che pesa come un macigno sui poeti che vogliano guardare al di là del proprio orticello, ecco che, il 24 febbraio 2022, giorno dell’invasione dell’Ucraina voluta da Putin, ebbi la visione di sterminati ossari, come del resto dice uno dei versi del testo. La guerra nel cuore dell’Europa, la fine traumatica di una globalizzazione ottusa per definizione, i primi corpi martoriati offerti in tivvù fra una pubblicità e l’altra! ebbene, avendo riletto nel 2021 il “Furioso”, perché non aggrapparsi –mi chiesi- in chiave tutt’altro che scolastica alla ottava narrativa, iniziando dalle grottesche quirinalizie con cui si era per l’appunto aperto il 2022? questo al dunque è il mio modo di rivivere i classici, rigenerandoli secondo le mie forze, al fine di testimoniare quanto accade (così intendo la modernità a prescindere da manifesti, gruppi poetici, scritture asettiche e ignare di qualsivogliaidea di bellezza). In ultimo vorrei ricordare che i tempi dell’Ariosto erano tutt’altro che pacifici (basti ricordare il Sacco di Roma del 1527)…ma il mio poemetto rende conto anche di una Natura sempre più infuriata verso di noi, del tutto indifferenti ai minacciosi cambiamenti climatici, con i giovani manifestanti dileggiati dagli “adulti” sprezzanti ed egoisti.

D – Quale pensa sia il valore della poesia attualmente? La sua funzione è cambiata rispetto al passato?

R –  Il valore odierno della poesia, lo dico senza mezzi termini, mi appare sempre più irrilevante per il semplice fatto che tutti scrivono e pochi leggono, non ammettendo altro dio al di fuori del proprio ego poetico-umano, in tempi di vetrine virtuali che livellano impietosamente valori e disvalori. Sparite quasi del tutto le riviste letterarie cartacee, con case editrici di prestigio pronte a pubblicazioni risibili a caro prezzo, e qui mi fermo per decenza. Ma la poesia, quella autentica, sopravvive e rinasce naturalmente ogni volta che, foglio bianco e penna, un poeta si metta “per l’alto mare aperto”; nel silenzio operoso, con giusta ambizione ma senza vanità, fiducioso in un possibile granello di gloria post-mortem al posto di un facile successo a portata di mano. La digitalizzazione delle nostre vite ovviamente ci pone in una condizione che sempre più ci allontana dal duro esercizio della poesia. Vorrei ricordare che gli antichi intendevano per “talento” la sintesi di una “disposizione naturale” con lo studio approfondito, e questo la dice lunga sulle scorciatoie che tanto ci fanno comodo oggi. Investiamo in conclusione sui giovanissimi poeti, stimolandoli alla memorizzazione dei grandi testi poetici e alla lettura; nonché all’uso primario di penna e carta bianca, l’atto più libero degli umani, al riparo dalla corrosione del tempo.

D – Che riscontro sta avendo il libro nelle sue presentazioni al pubblico?

R – In attesa della seconda presentazione prevista per ottobre prossimo presso la Biblioteca Laurentina di Roma, ho registrato viva attenzione da parte del pubblico alla “prima” avvenuta l’8 giugno scorso. Conto soprattutto e nel frattempo su quello che Leopardi chiamava il “lettore sensibile e immaginoso”, e cioè il lettore ignoto, potenziale, che si imbatta magari nel mio libro disponibile da qualche tempo presso la succitata Biblioteca; potendo anche rivolgersi all’Editore per l’acquisto della silloge. In ultimo, ho preso atto dell’accoglienza ottima (già per iscritto) della raccolta da parte di poeti e studiosi che frequento e che mi

stimano, da me ricambiati.

D – Concludiamo con una domanda di rito: c’è già all’orizzonte una nuova raccolta, un nuovo progetto?

R – Per il momento, complice l’estate, sto ancora dentro il mio libro, contando sulla stagione da sempre per me più creativa, vale a dire il prossimo autunno. Do alla nuova poesia il tempo di maturare a mia insaputa, ricordandomi sempre della sua nobile gratuità, nel senso che nessuno mi obbliga a scrivere. Questo non toglie che, nel prossimo libro, se ci sarà, mi piacerebbe interrogare le ombre… altro davvero non so dire per il momento.