LUCI NEL LAGO
Mi sveglio. Dove sei, in quali aurore nasci,
come ti presenti visibile? La città sei tu,
ti rifletti nel lago come una Nereide.
Questa mattina volontariamente ho perduto il tram
per una colazione al lago all’acerba luce dei navigli;
i gabbiani stridono attirati da flottiglie di pesci lacustri.
Lappe e ortiche riflesse sono lune bianche capovolte
ci colano addosso. Sento il richiamo del Dio assente!
Finisce la notte e il giorno è nel viale allineato a noi:
noi, foglie scartocciate con la morte soprapelle;
amore resisti, ci sei tu, tutto ciò che turba è luminoso.
Intanto i lagunari col ventre fangoso s’allontanano.
poesia di Antonio Coppola, tratta dalla silloge Io e Lei poesie d’amore, EDITORIAL SERVICE SYSTEM S.r.l., 2016; con prefazione di Robertomaria Siena e Opere di Nicola Schiavone
La poesia in oggetto, la seconda che si legge nella succitata silloge di Antonio Coppola presentata a Roma lo scorso 25 ottobre (vedi notizia nel blog in data 20 dello stesso mese) esprime a parer mio una preziosità di stile peculiare, senza nulla togliere -sia detto per inciso- ad altre (e frequenti) poetiche gemme incluse nella raccolta. La mia attenzione si è infatti focalizzata sul mirabile tessuto fonematico del verso che suggella la prima strofe di Luci nel lago: tessuto davvero “sbalzato” grazie ai raddoppiamenti della consonante occlusiva; prima bilabiale sonora (la “b” di “gabbiani”); quindi dentale sorda (la “t” di “attirati” e “flottiglie”). Mirabile l’ho definito tale fonosimbolismo in quanto Antonio Coppola in virtù di strenuo labor limae attira il lettore entro le fitte, densissime maglie del suo poetico eloquio (non godibile appieno se non affidandosi al tempo lento e paziente che conviene alla fruizione della poesia autentica). Si veda inoltre l’inarcatura del primo verso nella seconda strofe: “lune bianche capovolte/ ci colano addosso”…a ribadire lo splendore di uno stile in grado di sfruttare al massimo la “posizione forte” del verso per incrementare il ritmo della poesia di fatto inducendo il lettore a un corpo a corpo con essa; quasi segnato, direi, dalla inesorabilità di un ductus che così si cheta: “noi, foglie scartocciate…/ amore resisti, ci sei tu, tutto ciò che turba è luminoso./ Intanto i lagunari col ventre fangoso s’allontanano”. Giustamente in prefazione alla silloge Robertomaria Siena sottolinea il “folgorante barocco” quale artistica espressione dell’amore inteso dal poeta come valore assoluto. Ma al cospetto d’una rima potentemente ossimorica e finemente interna (“luminoso/ fangoso”), e cioè quella di Luci nel lago in chiusa, difficile risulta non pensare, aggiungerei, anche alla classicità di Coppola, poeta tutt’altro che oscuro, “onirico”; al contrario “distributivo”, nell’alveo della nostra grande tradizione. Rima davvero esemplare la suddetta, in grado di avvicinare la terra al cielo per semantica opposizione facendo discretamente vibrare l’oraziano “pulvis et umbra sumus”. L’amore che canta Coppola in Io e Lei è vivo e immanente, tutto il suo cielo, un hic et nunc senza appello visionario e potente; e noi ringraziamo il poeta che plasticamente, con ars consumata, ci ha donato un libro da leggere e rileggere nel tempo.
Andrea Mariotti