La poesia che qui presento è nata nella mia fantasia lo scorso luglio, quando mi sono trovato a camminare con un amico sul crinale appenninico tra l’ eremo di Camaldoli (Arezzo) e il monte Falterona. Ricordo, di quei giorni, le notizie relative al caldo terribile che cingeva d’assedio le città italiane, giunto a toccare -in maniera comunque attenuata- la stessa provvidenziale foresta nella quale mi ero rintanato. All’amico con cui stavo percorrendo il crinale, nel silenzio profondo della montagna, ho mormorato a un certo punto: “chi più contento di me?”. L’avessi mai detto! eccole, infatti, all’improvviso, le mosche, col loro ronzio assordante, simile a quello delle vuvuzèlas; vale a dire le detestabili trombette che non poco ci hanno disturbato nel seguire le partite del campionato del mondo sudafricano… questo lo spunto da cui ha preso le mosse la poesia appena scritta. Scritta, peraltro, in perfetta sintonia con gli operai che, nel frattempo, stavano tinteggiando le pareti di casa mia: morbidi colpi di pennello da parte loro, zampillio di endecasillabi sul mio foglio; all’unisono, per un buon numero di ore, anzi; di giorni. Quelli che sono serviti a noi lavoratori per gli ultimi ritocchi di pennello e di lima (poetica). Ma ecco i miei versi:
NEL CREPUSCOLO
Dimmi, foresta: dove stiamo andando?
che rimarrà, del nostro Belpaese?
tu mi plachi, o foresta fitta e cupa
ma misericordiosa di Camàldoli!
però le mosche ronzano incessanti,
odiose vuvuzèlas all’attacco
dei timpani miei; rotti senza tregua
quassù, all’ombra di faggi secolari.
Trovarti, adesso, o Casentino, in peggio
cambiato; ché deserto, desolato
mi è apparso l’altra sera il caro ostello
vicino al passo dei Mandrioli: rapidi,
spietati tempi!
Sul crinale dov’è passato il Sommo
Poeta, sopra l’Ermo di Camàldoli,
scemando va l’accidia: un profumato
tetto di abeti bianchi mi difende
dall’africano, inferocito sole.
Salute a te, o venerando Castagno
Miraglia che da più di cinque secoli
vivi nella foresta di Camàldoli!
volgendoti le spalle nel crepuscolo
ho percepito, credo, un moto tuo
di affetto per noialtri condannati
alla stoltezza.
Andrea Mariotti, poesia inedita del 15 ottobre 2010