Metrica antica e versi nuovi
Riflessione e contemplazione nella poesia di Andrea Mariotti
di Cinzia Dal Maso
“Amo il sentire semplice e profondo, / non gli arabeschi della pazza mente. / Benché ferito ancora mi consolo / sperando di rinascere domani”. Così il poeta romano Andrea Mariotti apre i luoghi più segreti del suo animo in una lirica del suo recente volume “Spento di sirena l’urlo” (Ibiskos Editrice Risolo, 72 pagine, 10 euro). E’ una voce fuori dal coro, la sua, in grado di stupirci ancora, all’alba del terzo millennio, con metrica e rime. Le parole non rimangono imprigionate dalla rigida struttura del verso, ne guadagnano in musicalità ed espressione, ne prendono vita e forza, lasciando ai margini della realtà il flusso continuo dell’immaginazione. “Son anni che mi affido ai versi schietti del passato, per me presente e vivo: ciò non mi ha reso schivo / delle vicende d’oggi, amico mio”. I sentimenti scorrono inarrestabili come un fiume in piena: “da quanto tempo il volto ti nascondo, / amore? non restare in me latente, / dolore dell’infanzia, prendi il volo! / e tu, coraggio, toccami e rimani!” I ricordi si intrecciano al presente, le sofferenze di ieri e di oggi, indagate spietatamente e senza falsi pudori, diventano solida base su cui costruire il futuro, speranza di un domani migliore. La poesia si fa tramite per elaborare la vita e trarne insegnamento e sostegno. Infatti, continua Mariotti, “solo scrivendo, il mio intelletto crudo / diventa amico del tenero cuore / che possiedo: parola d’uomo scisso, / allergico alle scelte, crocifisso / dai conflitti. Che notte di terrore! / convalescente, l’alba cerca scudo”.
Ma non è solo indagine autobiografica la poesia di Mariotti. Spesso lo troviamo incantato davanti allo spettacolo della natura, dalle sue manifestazioni più consuete, come i caldi colori che l’autunno si diverte a dipingere sul cielo, alle più violente, quali un vento così impetuoso da abbattere i platani. Sono quelle che lui chiama “Contemplazioni”, dove si può dimenticare ogni affanno per fermarsi ad ammirare un paesaggio o la sagoma inconfondibile di un’altura: “ecco il Soratte nascere dall’erba; / quale bandiera batte / il solitario monte che par nave?”
Anche l’ironia è un suo punto di forza, che gli permette, aiutandolo a guardare con occhio disincantato, di sorridere del mondo che lo circonda, dei piccoli e grandi difetti del prossimo, delle nevrosi dei nostri giorni e anche – perché no? – di se stesso. Laureato in lettere con una tesi su Giacomo Leopardi, Andrea Mariotti ha pubblicato nel 1998, con la Bastogi Editrice Italiana, la sua prima raccolta di poesie, con cui l’anno successivo ha vinto il premio letterario “Città delle Torri”. Le sue liriche sono apparse, lungo tutto l’arco degli anni Novanta, su varie riviste letterarie italiane. Nel 2006 ha collaborato, con altri autori, alla raccolta poetica “Gamantea”, pubblicata dalla Ibiskos Editrice Risolo.
N.B. La recensione in oggetto è apparsa sul quotidiano Specchio Romano del 19/6/2007; anno di pubblicazione di Spento di sirena l’urlo.
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V Concorso Nazionale di Poesia e Narrativa “VOCI 2010”
Sezione Libro Edito di Poesia
Primo Classificato
Mariotti Andrea
Con il libro
Spento di sirena l’urlo
MOTIVAZIONE
L’opera di Andrea Mariotti è un intrecciarsi di maestria versificatrice e voci disincantate dell’anima, quest’ultime condotte all’apogeo in Allo specchio e nelle Oscurità. Anche se i sonetti non sono sorretti da metrica perfettamente impeccabile (i versi delle quartine non rimano tra loro come ci si aspetterebbe da un sonetto classico, ma supponiamo che la qual cosa sia una scelta pressoché voluta), la prosodia ha ritmi e accenti sempre coerenti. L’attenzione a mantenere saldi i rigori del tecnicismo poetico ( o a uscirne talvolta per dar prova di raffinata destrezza) non ha comunque impedito all’autore di dipingere, in tutte le liriche, moti interiori o espressioni di vita sociale con elevato e persuasivo lirismo; un plauso particolare spetta alla lirica Exsultate (in endecasillabi sciolti): racchiude una profonda, ironica e suggestiva riflessione del poeta sul terremoto di Assisi, sfiorando -con toni sacri- attimi di fede, e sferzando -con sottili sfumature profane- la stoltezza delle insensate scelte umane. Nelle Contemplazioni la bravura dell’autore si destreggia ulteriormente accostando il settenario all’endecasillabo e colorando alcuni versi con vocaboli bonariamente licenziosi. Nei Vespri (in settenari) e nel Piccolo canzoniere in quarta rima (in endecasillabi) Mariotti scatena il proprio estro componendo piacevolissime quartine: veri propri cammei poetici che racchiudono salaci ed argute riflessioni sul vivere o su proprie sensazioni intimistiche; un rincorrersi di meditazioni corroborate da metafore suggestive ed originali.
La Giuria (22 maggio 2010)
N.B. Tale motivazione della giuria vale per me, a distanza di tre anni dalla pubblicazione di Spento di sirena l’urlo, come una prova gratificante della vitalità del libro (nonché, a tutti gli effetti, quale recensione da presentare in questo sito).
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La poetica di Andrea Mariotti
Le rigorose e limpide architetture poetiche di Andrea Mariotti (si legga “Spento di sirena l’urlo”, edito dalla Ibiskos nel 2007, con prefazione di Rina Gambini), sulle prime possono dare l’impressione di un razionalismo illuministico ritrovato, ma i sospetti sfumano laddove, dalle dichiarazioni di poetica dello stesso autore, veniamo a sapere che la sua aspirazione è di superare i limiti morbosi ed eccessivi dell’Ego. Il quale, a parer mio, è autoreferenziale sempre, vuoi nei suoi aspetti sentimentali ed intimistici, vuoi in quelli intellettualistici e razionali. Per avvicinarci pertanto alla natura per così dire “olimpica” di questa poesia, non resta che percorrere i mari dell’inconscio, i cui flutti oscuri e tempestosi devono essere navigati fino in fondo per essere condotti verso le acque serene e chiare della spiritualità.
L’inconscio è la scoperta fondamentale dei nostri tempi. In tutti i campi, dopo millenni di cultura razionalistica, le innovazioni più significative del Novecento sono state prodotte all’insegna di una visione irrazionale della vita (il che non vuol dire “illogica”). Si pensi in primo luogo al Nichilismo e alla Psicoanalisi che hanno prodotto quel generale clima di liberazione dalle barriere e dai blocchi razionali-emotivi (sia pure, ovviamente, vivendoli), i quali fra l’altro non esistono in natura e sono fuori da ogni realtà. Considerando poi l’ambito estroversivo e fortemente realistico della ricerca di Mariotti, non possiamo eludere la Fenomenologia, con i suoi richiami (irrazionali) all’epoché (sospensione del giudizio), all’intuizione eidetica (fatto intuitivo, appunto) e all’Erlebnis (che è il flusso misterioso della vita).
E infine un cenno è doveroso alle avanguardie storiche, alle poetiche costruttiviste che si dipartono dal Futurismo e dall’Espressionismo e che non sono affatto razionalistiche, come forse può sembrare, in quanto tendono a vedere nell’azione unitaria dell’uomo e del mondo gli elementi di un principio dinamico non intellettualistico, e dunque extrarazionale. Questo preambolo non è fatuo per parlare di Andrea Mariotti, un poeta dei nostri tempi che si pone sulla linea di sviluppo dello Sperimentalismo, proponendo tra l’altro un interessante aggancio dello stesso con la metrica tradizionale e classica, ma soprattutto dando corpo a tessiture linguistiche ardite e asciutte, a volte lapidarie, epigrammatiche, pungenti, e ad impasti ludici tutt’altro che evasivi o onirici, baroccheggianti.
Il grande lavorio linguistico non inganni. Non è fine a se stesso, ma possiede valenze cognitive. E’ una poesia sulla vita, quella di Mariotti, e non una poesia sul linguaggio. Non è l’esibizionismo retorico e funambolico in cui scivolano tanti manipolatori della lingua, ma è l’esigenza alchemica di entrare con la propria creatività nella creatività del mondo. E’ dalla vita che nasce il linguaggio, e non dal linguaggio la vita. Una poetica artigianale e fabbrile, questa, dove gioco non vuol dire finzione ma rischio. E soprattutto vuol dire mettersi in gioco, porsi in discussione (sovente con sottile ironia). Sta qui il fondamento etico della poesia di Mariotti, in questa tensione critico-autocritica verso il superamento dei pregiudizi, al fine di innestare gli ingranaggi psichici in ingranaggi che oserei dire universali.
Ed è ciò che il mitopoieta realizza da sempre, mettendo direttamente le mani in pasta nei fermenti creativi del creato (il riferimento è al mito allo stato sorgivo – mitopoiesi, appunto – non alla mitologia stanca e ripetitiva). Da questa angolazione – che è, si, quella dell’arte come lavoro, ma anche, e proprio per questo, dell’arte come ispirazione e ascolto dell’essere – si può affermare che il poeta e l’artista, se davvero autentici, sono spiriti profondamente etici, capaci di mostrare come la strada dell’inconscio e dell’esplorazione interiore non sia un cammino verso l’oscurità, ma verso la chiarezza del cuore e verso la pulizia mentale. Ciò capovolge la visione dell’etica come aspirazione ideale, che secondo Aristotele non avrebbe nulla a che fare con l’arte e con la produzione di miti.
Al contrario, la moralità appartiene al mondo reale, non a quello ideale. Essa coincide con il mondo della poesia, in quanto entrambi irrazionali, nel senso che non procedono dalla ragione, ma giungono alla razionalità. Mariotti, lavorando alacremente sulla lingua, sulla materia, mostra di credere nell’intelligenza arcana che vive nelle cose, nella vivace ed irrequieta realtà del mondo, che possiede una propria sostanza etica, indipendente dalle illusioni utopiche dell’intelletto umano. Da homo faber, Mariotti ripudia ogni idealismo aulico, ogni tronfiezza o solennità, per potersi immergere nella vita, nelle sue tensioni autenticamente morali. Non dunque l’uomo come dovrebbe essere secondo scale di valori arbitrari, bensì l’uomo come è nella sua realtà più vera, se pure nascosta e stravolta dalle sovrastrutture culturali, ideali.
Salta così ogni cervellotica distinzione tra estetica ed etica, tra ricerche del bello e del buono (così come tra scienza, arte, religione, filosofia), giacché nella poesia (nel mito) c’è tutta, in nuce, la sapienza dell’essere umano, non ancora degenerata in dogmi e feticci, in lotte devastanti di egemonia. La poesia di Mariotti, con l’umiltà del suo senso etico, ha il potere di evocare le radici del vivere insieme, della fratellanza tra esseri umani, ed in questo senso è poesia civile, non in quello retorico, carducciano o dannunziano. E’ il linguaggio arcaico ed attualissimo del mito (un mito dinamico, il suo, e non contemplativo), fondato su quel particolare tipo di comunicazione (proprio del mito) che pretende comunione: una relazione autentica ed intima dell’uomo con se stesso e con i propri simili; una coralità che non si richiede ai livelli superficiali del comunicare, se pure anch’essi imprescindibili.
Franco Campegiani
N.B. Con grande piacere ho pubblicato fra le recensioni del mio Spento di sirena l’urlo, la meditazione -come definirla altrimenti?- di Franco Campegiani, poeta, filosofo e saggista. E geologo riguardo alla mia poesia si è rivelato in effetti Campegiani, nel momento in cui è stato capace, a parer mio, di giungere fino alla scaturigine non soltanto stilistica di essa. Lo ringrazio pertanto di cuore.
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VI Concorso Nazionale di Poesia e Narrativa “VOCI 2011”
Sezione Lingua
Primo Classificato
Mariotti Andrea
Con la lirica
Nel crepuscolo
MOTIVAZIONE
Mirabile lirica (due strofe in perfetti endecasillabi e quinario finale). L’autore è immerso nella frescura del parco del Casentino -in quel di Camaldoli- e con amarezza rileva, in alcuni angoli della natura, lo scempio perpetrato dalla stoltezza dell’umano progresso. Solo l’ombre dei faggi e degli abeti ed il ronzio delle petulanti mosche sembrano essere rimasti incontaminati. E il secolare Castagno Miraglia si congeda con un “moto d’affetto” per l’uomo condannato all’imbecillità. Amara ma attualissima constatazione degli “spietati tempi” che viviamo. C’è sempre qualcosa che ci disturba (“le mosche ronzano incessanti”; l’ostello è “desolato”, disertato da chi preferisce i Centri Commerciali per trascorrere il proprio tempo libero) ma gli abeti bianchi, il castagno Miraglia sono lì da secoli ad aspettare un arrivo: c’è chi è già arrivato (“il Sommo”), chi sta arrivando e chi arriverà. Così, quel moto d’affetto -percepito nel crepuscolo- è l’alba di un giorno nuovo, non ancora sorto per gli uomini ma già alto e luminoso per la poesia.
La Giuria (28 maggio 2011)