“Nacqui sub Iulio”: così, nel primo canto dell’ INFERNO, Virgilio risponde a Dante. Più miseramente mi chiedo qui: son nato e morirò democristiano, considerando i festeggiamenti dei giorni addietro per il novantaduesimo compleanno del Divo Giulio? Con la solita ironia (che personalmente non mi ha mai incantato), zio Giulio ha ricordato che il Signore gli ha concesso una “proroga”. Molto bene, caro zio, considerando i sublimi statisti che attualmente ci governano! capirai quindi il desiderio di unirmi ai suddettì festeggiamenti, presentando oggi una mia breve lirica a suo tempo da te ispirata:

inverno arido
ci è capitato,
eterno azzurro
che ti dispèra:
chiamarlo Giulio
l’inferno algido,
come in America
con gli uragani.

Andrea Mariotti, poesia del 1989, poi inclusa in Lungo il crinale, 1998, Bastogi Editrice Italiana.

6 commenti su “

  1. maria rizzi

    Mio caro amico,
    componevi nel 1989 una lirica che sembra nata in occasione del compleanno di
    Andreotti. I tempi non cambiano molto. Anzi, ai vertici si danno molto da fare per peggiorare e certo non falliscono nell’intento, ma di fondo si susseguono gli ‘inferni algidi’ … che magnifico ossimoro!…
    Il paragone con gli uragani americani è il suggello del tuo sarcasmo lucido, attento,
    forse anche malinconico, ma mai lamentoso.
    Il sarcasmo dell’uomo che segue il tempo che vive invece di farsi inseguire da esso.
    Sei un testimone illustre dei nostri giorni… della mia patria interiore.
    Ti stringo.

  2. andreamariotti Autore articolo

    Mia cara amica, ricordo perfettamente gli anni Ottanta, con la “Milano da bere”, certi adiposi e zazzeruti ministri in pista da ballo con procaci fanciulle una sera sì e l’altra pure…poi c’era Arbore a divertirci (non lo nego) e, per l’appunto, il Divo Giulio con la sua ghignante ironia: quale humus per chi, nella cosiddetta Seconda Repubblica, avrebbe poi relegato (in una sua “uscita” in canottiera) il Tricolore al rango di carta igienica (tanto per alludere al decisivo alleato del nostro attuale Presidente del Consiglio)! Purtroppo i nostri odierni ispirati statisti non vengono dal nulla, nel paese delle stragi impunite e , dunque, tutt’altro che democratico. Ti abbraccio anch’io.

  3. Franco Campegiani

    Andrea carissimo, l’occasione offerta da questi versi amari e ironici è troppo ghiotta perché io possa esimermi dall’intervenire nel prezioso dibattito che sempre riesci a scatenare tra i lettori. La poesia, lo sappiamo, è dovunque, o può esserlo, se c’è il poeta che sa cogliere i lati sottili della vita. La politica, non meno di altri ambiti dell’esistenza, può rientrare in questo orizzonte vastissimo della poesia. Purché sia chiaro quel che per te è chiarissimo: che la politica è un mezzo e non un fine. Qual’è allora lo specifico della poesia? Quello di parlare per simboli, come tu fai egregiamente in questo testo ed in genere nelle tue poesie civili. E chiediamoci ancora: che significa parlare per simboli? Significa forse nascondersi, dire astutamente una cosa per un’altra, nel timore di specificare nomi e cognomi? Non è così! Parlare per simboli – noi lo sappiamo, ma bisogna dirlo a chi non lo sa – non significa parlare per allusioni, come è molto facile equivocare, ma significa parlare di se stessi, in maniera molto più diretta, realistica e brutale di quanto non faccia l’ideologo o il politico, bravo nel nascondersi a se stesso. Il Divo Giulio, prima di essere Andreotti, è qualcosa o qualcuno che vive dentro di noi e di cui noi cerchiamo di liberarci, pur accettandone la scomoda convivenza, giacché il male è in noi stessi prima di essere fuori. Questo i poeti lo sanno, perché sono allenati a conversare con se stessi prima che con altre persone. Ciò che distingue il poeta civile dal politico e dall’ideologo, è – ritengo – questo capovolgimento di valori, questa capacità di rivolgersi a se stesso, questo orizzonte individuale del dialogo, che solo di riflesso, in maniera indiretta e trasversale, diviene collettivo. Il poeta civile, se non vuole scadere nella retorica, non si rivolge a tutti, ma al cuore di ognuno. Egli non crede nella massa, ma nella comunità, ovvero nella comunione degli uomini, innanzitutto con se stessi, e poi tra di loro. Ti saluto e ti abbraccio, grato per l’attenzione.

  4. andreamariotti Autore articolo

    Franco carissimo, ti ringrazio molto per questo tuo lucido, profondo e generoso intervento sulla poesia civile. Mi fai ricordare i primi anni anni Novanta, ossia i tempi in cui incontravo maestri d’ironia e d’indignazione (per l’appunto civile) quali Vito Riviello e Paolo Volponi, in occasione delle rassegne letterarie romane. Io qui mi limiterò a dire che ho sempre sentito gorgogliare in me l’istinto d’una poesia capace di guardare oltre il proprio privato orticello; una poesia dal linguaggio scabro e risentito, non conciliante con la cena dei potenti. E penso con amore, mentre ti sto rispondendo, alla Ginestra di Giacomo Leopardi, testo altissimo e spiazzante, di cui converrà citare i versetti del vangelo giovanneo scelti dal Recanatese come epigrafe, all’inizio del suo canto: ” E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce“…un invito, il mio (rivolto anzitutto a me stesso), a leggere e rileggere senza posa gli estremi versi leopardiani; laddove il pessimismo -pur vigile- di fatto si risolve non in “profondissima quiete”, piuttosto in ardente passione per l’uomo in relazione con gli altri. Un abbraccio pieno di stima.

  5. Roberto De Luca

    Caro Andrea, senza entrare nel merito strettamente politico, riìguardo al divo Giulio del nostro recente passato oserei dire, tanto per divagare sui sentieri politici e poetici che sembra abbiano qualcosa in comune tra loro(invero sembra che da qualche parte si incontrino)…allora noi, in quanto poeti, diremo che Virgilio disse a Dante ‘nacqui sub Julio’ poichè in quanto nato sotto Giulio Cesare, del suo non essere cristiano non era responsabile e anche Dante una scusante doveva pur trovarla per essersi fatto accompagnare da un poeta pagano come Virgilio, anche se poi lo sostituirà con l’amata Beatrice. Non avendo quindi altri riferimenti diremo che noi, ragazzi cresciuti nella seconda metà del Novecento, non possiamo farci niente se sulle nostre strade abbiamo incontrato il divo Giulio e il divo Silvio suo diretto discendente. Dobbiamo subirli, ma d’altronde subiremmo chiunque, poichè è proprio l’Italia ad essere un paese difficilissimo da governare e, senza star qui ad elencarne i motivi citerei un pensiero del caro Giulio riferendomi a quando disse che: ‘ per giungere al Bene, bisogna passare necessariamente per il Male…’ Questa frase lascia spazio a molte interpretazioni e… a ognuno la propria.
    Inoltre, immersi nella bagarre politica che siamo costretti a vivere, sembra quasi che il popolo italiano sia un popolo in grado di autogovernarsi, oggi come ieri, e con questo intendo dire che se il nostro paese è rimasto in piedi è soprattutto grazie al popolo e non grazie ai suoi governanti. Che ne pensi?
    Noi siamo qui ad ascoltare, caro Andrea, con la poesia che aiuta a sensibilizzare le coscienze. Bella la tua, sintetica e intrisa di malcelata rabbia.Un abbraccio.

  6. andreamariotti Autore articolo

    Intanto ritengo, caro Roberto, che l’attuale mediatica melma ci ponga quasi (e questo è paradossale) nella situazione di rimpiangere l’era democristiana, capace di mellificare l’arroganza del proprio potere con accorta ipocrisia (che, in politica, forse, può avvicinarsi alla sostanza; suggerendo in qualche modo un’idea della cosa pubblica; idea del tutto assente nelle teste dei nostri miserabili governanti d’oggi). Ma, sottolineata la caduta odierna dei potenti di casa nostra, occorrerà ricordare che la cattiva politica genera purtroppo disamore profondo per le regole democratiche in tante, troppe persone. Quelle che magari hanno votato Silvio sperando di arricchirsi… una certezza, è comunque la seguente: la cattiva politica viene a trovarci nelle nostre case, pur schifandoci noi fino al punto di non esercitare il diritto/dovere di votare. Ricordo, Roberto, un fulminante vaticinio del grande Luigi Pintor sul Manifesto, all’epoca di Tangentopoli: “vedrete, Mani Pulite si risolverà nella metamorfosi di Craxi in Berlusconi”. Al dunque, caro amico, non è ancora passato un secolo dal discorso di Mussolini a Montecitorio (gennaio del 1925), con il quale il duce si assumeva la responsabilità politico-morale del delitto Matteotti…ah, questa nostra italica passione per l’uomo forte (Benito-Bettino-Silvio, per evidenza di filiera e con le doverose distinzioni in merito!). Stai a vedere che, gli auguriamo il più tardi possibile, verseremo qualche lacrimuccia per l’ingobbito, pretigno Belzebù! Un abbraccio.
    Andrea

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