Esprimo oggi, alla vigilia della beatificazione di Giovanni Paolo II scomparso nel 2005, un mio stato d’animo forse non del tutto isolato. Domani, domenica, è la Festa del Lavoro e, ferma restando tutta la mia considerazione per la grandezza storica e umana di Karol Wojtyla, non posso non pensare ad una magistrale “invasione di campo” (laico) compiuta dalla Chiesa; la quale innalza alla gloria degli altari il papa polacco nel primo giorno di maggio di quest’anno che cade, guarda caso, di domenica. Viene da chiedersi, infatti, come verrà vissuto fra qualche anno il Primo Maggio: rimarrà qualcosa del suo laico significato (dopo la giornata di domani) o dovremo esclusivamente riferirci a Giovanni Paolo II non più beato ma santo, di sicuro? Mala tempora currunt, lo sappiamo, per quanto riguarda il Belpaese e, senza quella stanza di compensazione fra Chiesa e Stato rappresentata a suo tempo dalla Democrazia Cristiana (come più volte rammentato), ecco che la Chiesa, in prima persona, con la sua raffinata e millenaria astuzia sembra avere la forza ingovernabile d’uno tsunami, in occasione della giornata di domani. Nutro, lo ribadisco, rispetto per una istituzione come la Chiesa (lasciando a chi vuole l’anticlericalismo becero e non pretendendo di affermare cose originali); ma, ad esempio, mi chiedo: un grande giurista quale Arturo Carlo Jemolo -dalla fede profonda e tuttavia fermissimo nel distinguere fra Stato e Chiesa- non avrebbe forse nutrito qualche perplessità in merito alla sovrapposizione di due eventi così importanti, ossia la Festa del Lavoro da un lato, e la beatificazione di Karol Wojtyla dall’altro? Sommessamente, vorrei anche dire, qui, che lo scorso lunedì, seguendo su RAI TRE per la serie LA GRANDE STORIA il racconto della vita di Wojtyla fino alla sua elezione a papa del 16 ottobre 1978, mi sono fermato a riflettere più profondamente che in passato sul brevissimo pontificato di Albino Luciani, morto nella notte fra il 28 e il 29 settembre dello stesso anno per cause, sembra, non del tutto naturali (tant’è che sto per iniziare a leggere il discusso ma importante libro di David Yallop, IN NOME DI DIO, al riguardo). Gioverà ricordare il clima di quegli anni; di quello stesso tragico anno 1978, segnato dalla uccisione di Aldo Moro e dal massacro della sua scorta per opera delle Brigate Rosse: un tempo, in sintesi, gravido di “pecorelle smarrite” del calibro di un Licio Gelli, Paul Marcinkus, Michele Sindona, Roberto Calvi, per tacere degli altri. Chiudo questo mio articolo, dicendo due parole sull’ultimo film di Nanni Moretti, tanto per restare in tema: HABEMUS PAPAM, a mio avviso un capolavoro mancato. In che senso affermo ciò? nel senso che Moretti ha avuto, a parer mio come di molti, una splendida intuizione: quella dell’umanissimo tema della inadeguatezza; tema sostenuto dalla magnifica interpretazione di Michel Piccoli, nel ruolo di uno “sbandato” in giro per Roma, dopo essere stato eletto, con suo profondo sgomento, papa. A che scopo, allora, mi chiedo, far deragliare questo treno in corsa (il soggetto del film) con la spuria, fin troppo riconoscibile egolatria del personaggio-Moretti che si intrufola nella storia, vestendo i panni di un supponente analista dalla voce stridula ed una vocazione di quartiere (nel momento in cui ricorda, polemicamente, i privilegi vaticani della benzina a costo ridotto e dei farmaci introvabili altrove)? Fermiamoci qui. Auguro un buon Primo Maggio a tutti, in base a quei valori di laicità rispettosi per definizione di quanto accadrà fra poche ore in piazza San Pietro, a Roma (nell’affermare ciò, non posso non ricordare in ultimo il prezioso, equilibrato libro di Claudio Magris LA STORIA NON E’ FINITA, Garzanti Editore, prima ed. 2006, laddove viene per l’appunto rievocata la grande figura di Arturo Carlo Jemolo).
P.S. La foto è mia, e riguarda la cripta allagata della chiesa ravennate di San Francesco; chiesa in cui si svolsero, nel 1321, i solenni funerali di Dante Alighieri (all’epoca essa era intitolata a San Pier Maggiore).
Ecco la lucidità del coraggioso intellettuale.Ti abbraccio, Mirka
Non potevo non dare voce a questo mio disagio, cara amica. Un abbraccio anche da parte mia.
Carissimo Andrea, il sentire laico ed il sentire religioso sono due opposti che non sarebbe difficile amalgamare sul terreno comune dell’umano. Se si ponesse l’uomo al centro, anziché in periferia, sarebbe facilissimo unificare ogni forma dello scibile, dal momento che tutto ciò che nasce dall’uomo ha un insostituibile ruolo da svolgere nell’ambito delle esigenze umane. Purtroppo accade che tutto ciò che nasce dall’uomo, per servirlo, finisca per spodestarlo e strumentalizzarlo, capovolgendo il sano rapporto tra i mezzi e i fini. E’ il settarismo del più svariato tipo a vanificare la possibilità dell’intesa, scatenando una lotta senza quartiere tra i vari poteri, sempre ai danni dell’uomo e dell’umano. Un laicismo autentico dovrebbe attirare, anziché respingere, entro il proprio orizzonte il sentire religioso. Se è vero, infatti, che il pensiero laico intende favorire l’umano, dovrebbe sostenerlo in tutti i suoi aspetti, senza riduzioni tendenziose. Allo stesso modo, un sentire religioso autentico dovrebbe trascinare la laicità dentro i propri confini, illuminando le valenze profondamente umanistiche della religione stessa, secondo il sano principio per cui la fede occorre al fedele e non viceversa. Va da sé che questo mio discorso resta valido entro i limiti di un sentire autentico, vuoi laico che religioso. Quando si abbandona l’autenticità per entrare nel campo del settarismo, ogni simbolo si trasforma in feticcio e la verità viene sepolta sotto una coltre chilometrica di menzogne. L’idolatria prende allora il sopravvento e non vale più la pena di tormentarsi per capire dove sia il vero. Molto meglio imparare a sorridere del feticismo, in ogni sua forma, visto che anch’esso fa parte dell’uomo ed ha indubbiamente un ruolo da svolgere nell’umano. Un’ultima considerazione vorrei fare, a proposito di Nanni Moretti e del suo “Habemus Papam”. A parer mio, il tema dell’inadeguatezza, ovvero del riconoscimento dei limiti dell’uomo, dovrebbe affermare per contrasto, anziché negarla, la realtà dell’assoluto. Ma, certo, qui si parla dell’assoluto che vive dentro ogni uomo, al di fuori di ogni favoritismo e di ogni corsia preferenziale… Un caldo abbraccio
Carissimo Franco: com’è veritiera, purtroppo, questa marginalità dell’uomo-massa odierno, eterodiretto da quei poteri neanche tanto occulti e così suadenti al punto di illuderlo di avere tutto a portata…di mouse! leggendo il tuo commento, amico mio, mi è tornato alla mente uno dei pensatori più importanti del socialismo utopistico, Saint-Simon, la cui acuta riflessione vagheggiava non il governo degli uomini, ma l’amministrazione delle cose ( ah, la distanza siderale che ci separa dalla concretizzazione di tale progetto per l’uomo!…). Io qui non vorrei apparire blasfemo, ma non posso negarti che, nello scrivere il mio articolo di sabato scorso, ripensavo al sottotitolo dell’edizione italiana di un fondamentale saggio di Wilhelm Reich: alludo a Psicologia di massa del fascismo (come nasce e perché si diffonde il misticismo organizzato) ; in merito ai grandi imbonitori della storia capaci sovente di crimini contro l’umanità. Lo ripeto, per non essere frainteso: mi sto riferendo ai meccanismi di fascinazione di massa, nel bene come nel male (mi permetto di segnalare, al riguardo, la folla incontenibile sfilata nei pressi del feretro di Wojtyla, nel 2005, col cellulare pronto ad immortalare -con grande e moderna devozione- lo straordinario evento). Sommessamente rammento che Giovanni Paolo II perseguitò, nei primi anni del suo papato, il movimento della Teologia della Liberazione in America Latina (qualcuno si ricorda il clima in virtù del quale venne trucidato, mentre diceva messa, l’arcivescovo salvadoregno Oscar Romero, nel 1980?). Potrei aggiungere, tanto per tornare ai fatti di casa nostra, che, sotto il papato di Wojtyla, il “discusso” Marcinkus conservò la carica di presidente dell’ istituto per le Opere di Religione (IOR), la banca del Vaticano, fino al 1989; non mancando di partecipare a diversi consigli di amministrazione del Banco Ambrosiano ( legato strettamente alle vicende di Roberto Calvi, finito come sappiamo). In breve, caro amico: pur avendo presente, come ho già avuto modo di affermare nel mio articolo, la grandezza storica e indubbiamente umana di Wojtyla, non posso oggettivamente dimenticare la sua portata geo-politica, nel bene come nel male; laddove la storia oggi finisce per essere appiattita, nel clima di unanimismo acritico peraltro ben manovrato (e questo non lo scopro di certo io). Tant’è. Per fare pace, infine, con Nanni Moretti (scherzo), dopo quello che ho detto sul suo Habemus Papam, eccomi qui a chiedere venia: proprio sabato scorso ho potuto infatti rivedere su LA7 il suo film a mio avviso più duro e problematico, senza sbavature; ossia La messa è finita, del 1985; dove don Giulio (interpretato dallo stesso Moretti), è un prete che non sa più consolare gli altri e neppure se stesso, messo di fronte alla disgregazione del suo vecchio mondo famigliare e non solo. A suo tempo tale film, in contrasto con la Milano da bere enfatizzata dal modernismo craxiano, mi piacque molto, come molto mi è piaciuto sabato scorso (per l’incontenibile antipatia di don Giulio che si fa antagonismo polico-sociale, in quanto non compromessa dal personaggio-Moretti delle opere successive). Morale della favola, carissimo amico: io sto dalla parte degli antipatici (genuini), piuttosto che da quella dei simpaticoni capaci di sedurre le plaudenti folle; e ancora: dalla parte di chi ci fa pensare, piuttosto che sognare. Un caldo abbraccio anche da parte mia e un sentito ringraziamento per il lucido spessore del tuo commento.
Carissimo Andrea
Condivido la tesi di fondo del tuo scritto sulla beatificazione di Giovanno Paolo II: anche se è ancora presto per affermarlo, tuttavia alcuni precedenti storici (clamorosa l’usurpazione della festività Aureliana del “Dies Natalis Solis Invicti” che, guarda caso, cadeva il 25 dicembre) fanno sospettare che le intenzioni del Vaticano vanno in quella direzione. Ed il popolo laico dovrebbe fare di tutto per ostacolare questo progetto e non farsi scippare una delle poche feste laiche rimaste.
Quello che non condivido del tuo scritto, è l’attenzione eccessiva ad apparire “politically correct” o, più volgarmente, veltroniano.
“La grandezza storica ed umana di Karol Woytila” è davvero una tua
opinione? E se fosse anche quella una costruzione mediatica al pari della beatificazione? Oppure vogliamo evidenziare, con questa terminologia un lascito significativo alla storia a prescindere dal giudizio di valore che ne diamo? Ma allora anche per Berlusconi, quando sarà defunto (speriamo presto), dovremo parlare di “grandezza storica ed umana” (almeno come barzellettiere)?
Carissimo Antonio, com’è mia consuetudine, lasciami innanzitutto darti il benvenuto sul blog. Accetto, naturalmente, il riferimento al mio veltronismo per aver riconosciuto, nell’articolo, la grandezza storica e umana di Wojtyla. Grandezza che, nonostante tutto quello che ho ricordato di negativo in merito al suo pontificato nel rispondere a Franco Campegiani (e che mi auguro tu abbia tenuto in considerazione); grandezza, stavo dicendo, che mi sento qui sostanzialmente di ribadire (ripensando ad esempio all’attentato del maggio del 1981 di cui Giovanni Paolo II è rimasto vittima; ai suoi innumerevoli viaggi; all’incontro multi-religioso avvenuto in Assisi nell’ottobre del 1986 e da Wojtyla fortemente voluto). Considero ovviamente una simpatica provocazione la tua ipotesi che il mio sospettato veltronismo possa indurmi a riconoscere a Berlusconi alcunché di grande. Diverso il caso di Giovanni Paolo II, evidentemente, contro la cui possanza di figura sia pure mediatica (ma non berlusconiana!) nulla può l’anticlericalismo non meditato a sufficienza. Spero, comunque, che ti sia piaciuta la foto premessa all’articolo (che t’altro mi ha pemesso di ricordare Dante, a sua volta non tenero con Bonifacio VIII). Ti faccio un caro saluto. Andrea