La foto qua sopra è stata da me scattata nel 2007 presso il Musée d’Orsay di Parigi (trattasi di un celebre dipinto di Henri Rousseau detto “Il doganiere”); e la mostro ora ai visitatori del blog per parlare di…Brahms. Quale il nesso fra il suggestivo e inquietante quadro del “Doganiere” e il genio musicale di Amburgo? Un attimo solo di pazienza, per spiegare ciò che non si può spiegare più di tanto a livello di associazioni visive. Trascorse le festività natalizie, di cui toccante “colonna sonora” è da sempre la celebre Ninna nanna del compositore tedesco, perché non riferire adesso -mi sono chiesto- di un’ opera scabra, particolarmente “tosta” di Brahms, capace di scuotermi profondamente? i cultori di tale genio della musica sorrideranno, forse, della mia ingenuità; ma… non importa. L’opera di cui intendo parlare è il Quartetto in do minore per pianoforte e archi op.60 (iniziato e concluso da Brahms nello spazio di un ventennio, 1855-75); altrimenti noto come “Werther-Quartette”, per la sua carica dissonante e tempestosa, vibrante di furore giovanile (soprattutto nel secondo movimento). Ma il lungo tempo di gestazione dell’opera ha fatto sì che essa fosse perfettamente dominata, nella sua pulsione demoniaca, da un compositore impareggiabile in quanto a sapiente controllo dei mezzi espressivi. La letteratura musicale ascrive questo “Quartetto della sofferenza” al difficile momento vissuto dal suo autore per la grave malattia e la morte dell’amico e maestro Robert Schumann (scomparso nel 1856); nel pieno del crescente innamoramento (densamente conflittuale) di Brahms per la moglie di Robert, Clara Schumann; cui lui, Brahms, sarà devoto per tutta la vita. Non posso negare un concentrato ascolto di Brahms, da circa un mese; un genio della musica da me conosciuto decisamente meno di Bach, Haydn, Mozart, Beethoven e Schubert. Nella speranza di aver fatto cosa utile nel dire del Quartetto in questione (comunque sia non popolare come le sinfonie, di Brahms), saluto i visitatori del blog: ai quali ho voluto raccontare, al dunque, dal punto di vista della poesia, non letteraria ma musicale -parlando di Joahnnes Brahms- le vette supreme dell’arte in bilico tra inferno e paradiso. “Dio e il diavolo lottano tra di loro, e campo di battaglia è il cuore dell’uomo”: afferma Dmìtrij Karamazov, nel capolavoro di Dostoevskij.

2 commenti su “

  1. Bianca 2007

    Caro Andrea,
    che interessanti connubi! In Brahms, e soprattutto in quel quartetto, la difficoltà di penetrazione richiede impegno profondo, amore e mestiere serio. Ma è proprio in quel quartetto dove chiara si evidenzia una svolta del compositore. L’ultima esplosione romantica che affronta in maniera netta emozione e intelletto, un moderno sentire, la tradizionale abilità, la preveggenza di un nuovo già in atto, la cultura di una conoscenza senza essere una semplice acquisizione, ma cosa viva e perfetta. E tu l’hai colta.
    Bravo come sempre e, come spessissimo faccio, mi congratulo con te. Un grande abbraccio, Mirka.

  2. andreamariotti Autore articolo

    Davvero grazie, cara amica, per questo tuo commento. Una musicista del tuo calibro e con il tuo passato mi gratifica non poco, nel momento in cui riconosce il mio ascolto attento del Quartetto op.60 di Brahms: lavoro complesso e affascinante, che la dice lunga sulla grandezza del compositore amburghese, dal genio proteiforme e tutt’altro che “conservatore” nel senso riduttivo del termine. Un abbraccio.

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