La bellezza della montagna in una domenica di agosto 2010 (monti Ernici, nei pressi di Frosinone) nella policromia di questa mia foto: un piccolo omaggio all’estro proteiforme di Lucio Dalla, scomparso il primo marzo di quest’anno. Con vivo piacere, pertanto, pubblico qui di seguito quanto scritto a mente fredda ma con il cuore caldo dal mio caro amico Sandro Angelucci; poeta, saggista e critico letterario non di rado presente nel blog con i suoi preziosi contributi:

IN ONORE DI LUCIO

Il clamore mediatico è passato; se n’è andato con il suo solito stile: grande risonanza, esaltazione della retorica e, poi, immediata, la discesa nel vuoto dell’oblìo (come sempre, come sta già iniziando a succedere per il terremoto in Emilia).
Lucio Dalla ci ha lasciati – ora è il momento di dirlo davvero – ora che, più chiare, sono le note della sua musica, le parole delle sue canzoni. È morto all’improvviso – ma di una rapidità, qui si parla, diametralmente opposta a quella sopra menzionata -, a tre giorni dal suo compleanno, quel 4 Marzo che, nel 1943, segnò l’inizio del suo esistere.
E proprio dal suo testo autobiografico voglio partire, per contrapposizione quasi: come suo padre, “nell’ora più dolce prima d’essere ammazzato”, lo concepì, così lui generò la propria poesia: quell’ora – lunga una vita – che lo ha accompagnato fino alla fine. Quell’uomo, sconosciuto, aveva permesso, con un atto d’amore, che dall’ignoto prendesse forma un mistero ancora più grande: “e forse fu per gioco o forse per amore” che una ragazzina di 16 anni lo “volle chiamare come nostro Signore”.
Si, Gesù bambino: anche lui sapeva (o sarebbe meglio dire: non sapeva) che quel nome lo avrebbe “portato addosso” tra i pescatori, tra la “gente del porto”, ubriacandosi – certo, anche lui – insieme a loro, maledicendo e ringraziando ma, soprattutto, pregando.
“A modo mio avrei bisogno di pregare Dio” – si chiede in “Piazza Grande” -: dunque, i benpensanti potrebbero sostenere, con assoluta certezza, che costui non sa dire le preghiere: ebbene si, hanno ragione, non le sa dire, però le sa fare.
È tutto lì: in quel “a modo mio”; in quel non voler essere altro che ciò che si vuole essere; e nella fermezza, nella consapevolezza di essere diversi e autentici: “ma la mia vita non la cambierò mai, mai”. “E se non ci sarà più gente come me, voglio morire in Piazza Grande”: eccola la premonizione che conferma – al di là, ben oltre le sentite e comunque apparenti dimostrazioni d’affetto del bagno di folla presente ai funerali – che Lucio è morto davvero tra quei “gatti che non han padrone”, “sulle panchine” della piazza, da solo, senza “santi che pagano”il suo pranzo. Un segnale, un duro presagio che si avvera. Perché non si è permesso di suonare e di cantare le sue canzoni, dentro la chiesa, per salutarlo come lui avrebbe voluto? Perché tra duemila metri quadrati della sua casa a Bologna non c’è neppure un angolo da lasciare al suo compagno?
No, è meglio non rispondere; è molto meglio che a farlo, per tutti noi, sia soltanto la musica, ogni nota della sua poesia.

Sandro Angelucci

P.S. I commenti che riceverò a proposito di questo stimolante scritto di Sandro Angelucci, saranno particolarmente graditi.

Nel chiudere questa pagina del blog dedicata al grande Lucio Dalla, mi piace aggiungere una mia personale emozione, risalente al 1977, anno in cui uscì, del cantautore bolognese, il memorabile album Come è profondo il mare; ebbene, mi colpì in particolare un punto della canzone Il cucciolo Alfredo: “la musica andina, che/ noia mortale,/ sono più di tre anni/ che si ripete sempre/ uguale…”. Ecco, Lucio Dalla era così, estroso e graffiante, capace di intuire artisticamente i limiti di certo conformismo di sinistra poco incline al pensiero critico e più propenso a mettersi in pace una volta per tutte la coscienza grazie a un repertorio standardizzato e rassicurante. Un ringraziamento a Sandro Angelucci e a coloro che sono intervenuti.

Andrea Mariotti

4 commenti su “

  1. Franco Campegiani

    Carissimo Andrea, mi complimento anzitutto con te per l’omaggio fotografico che hai voluto fare alla memoria di Lucio Dalla. Una foto che sembra un dipinto, con quelle tre fasce cromatiche nettamente distinte, dove nel verde centrale sembrano fondersi il cobalto del cielo sovrastante con il giallo dei prati sottostanti, in un esito di grande armonia. La delicatezza visiva dell’immagine veramente s’intona con l’estro poetico-musicale del grande emiliano scomparso: un’esplosione di terrestre ed umano calore che si consegna all’azzurro del cielo, sfumando in una preghiera sublime. Come è bello e straripante di contenuta emozione lo scritto di Sandro! Soprattutto lì, nel punto cruciale, dove rivendica l’autonomia del pregare, perché la preghiera dovrebbe sgorgare dal cuore dell’uomo come polla sorgiva. Nessuno può insegnare a pregare. La preghiera autentica nasce dalla precarietà dell’uomo (non a caso i due termini hanno identica radice), nasce dalla diretta sperimentazione del dolore, dalla vertigine del vuoto, dal senso atroce della sconfitta che prova chiunque salga sulla croce. Ed urla scompostamente, in modo dissacratorio (starei per dire blasfemo), sentendosi abbandonato dal divino proprio nel mentre guadagna la divinità attraverso quel suo sacrificio. Quando mai potranno capire, i Farisei, che è la croce il trono del Messia? quando mai la verità degli “ultimi che saranno i primi”? quando che la realtà è duale sempre e c’è il rovescio dlla medaglia in ogni situazione? Loro, i sepolcri imbiancati, hanno in odio l’armonia dei contrari. Sono schematici ed amano separare ciò che è unito. Hanno bisogno di demonizzare sempre qualcosa o qualcuno, di crearsi un nemico da combattere, certi, anzi certissimi, di essere sempre e comunque nel giusto e di aver il diritto di “scagliare la pietra”. Non capiranno mai la grande dignità con cui un omosessuale come Dalla ha vissuto la propria natura, nel rispetto assoluto delle regole, pur sapendo di essere diverso e sapendo di essere l’eccezione che conferma la regola, perché ogni norma ha bisogno di eccezioni, e viceversa. Bisogna essere consapevoli del proprio ruolo, senza tentare di rovesciare le carte in tavola, sostenendo l’insostenibile. Non è ipocrisia, ma è fierezza. Mi risulta che il grande Pier Paolo non solo evitò sempre di ostentare la propria diversità (su cui altri astutamente hanno sempre speculato), ma addirittura si mostrò tenacemente ostile verso l’insorgente movimento gay. Una lezione, a parer mio, su cui molti oggi (sepolcri imbiancati all’inverso) dovrebbero meditare. Ti abbraccio caramente.

  2. maria rizzi

    Mio carissimo Andrea,
    reputo davvero molto suggestivo e degno della tua sensibilità questo spazio concesso all’articolo del nostro comune amico Sandro.
    Un articolo che sa di ‘provocazione’, in quanto tende a sottolineare quanto la morte
    e i dolori in genere abbiano i loro momenti di celebrazione e poi tendano a divenire bisbigli…
    Ho amato Lucio come cantautore e come uomo. Non mi sono mai chiesta se fosse
    omosessuale, ma ho sempre saputo che era dotato di un’umanità straripante. Non credo, in tutta sincerità che la gente possa dimenticarlo. E non penso che abbia pagato dazio per la sua omosessualità. Il compagno ha recitato in Chiesa il testo della loro ultima canzone e, per una volta, sono stati proprio gli uomini di Chiesa a definire il giovane con il suo nome. I giornalisti lo definivano ‘un amico’.
    Lucio era amico di molti sacerdoti, sicuramente diversi da coloro che ‘scagliano la prima pietra’… Il dopo, amico mio, è sempre diverso da come l’avrebbe desiderato colui che ci ha lasciati… Gli uomini sono chiusi nei recinti dei propri egoismi e la casa negata al giovane compagno è uno degli aspetti deprimenti della ‘legalità’.
    Sandro cita le due canzoni che lo ‘tratteggiano’… che dipingono la sua esistenza più delle altre. “4 marzo 1943” rappresenta la biografia, romanzata solo in parte, del cantautore bolognese. La storia della solitudine affettiva, che l’artista non ha mai vissuto chiudendosi in se stesso, ma al contrario, svuotandosi in amore verso il prossimo. “Piazza Grande” è il testamento spirituale che ha lasciato a noi tutti. E si potrebbe citare “L’anno che verrà”, con espressioni su misura per le analisi condotte da Sandro e dal carissimo Franco: “ogni Cristo scenderà dalla Croce, mentre i Santi già lo fanno”… Ecco, la fede di Lucio era quella dell”essere preghiera’, come viene osservato giustamente… Lui credeva nel modo più concreto, più vero, attraverso i ‘fatti’. Diveniva preghiera in molte sue canzoni, che si potrebbero tranquillamente definire poesie.
    Sono d’accordo con Sandro anche sulla scelta da lui definita assurda di non far cantare ‘queste’ canzoni in Chiesa. Ma la vita è fatta dagli uomini… e un singolo individuo può prendere decisioni che altri non condividerebbero.
    Per concludere cari amici, ritengo questo articolo uno spunto di riflessione per ognuno di noi. Si parte da Lucio, indimenticabile e, spero, indimenticato, per arrivare all’anaisi di molteplici aspetti dell’esistenza.
    Vi stringo tutti e ringrazio Andrea, che visita territori diversissimi pur di indurci a confrontarci e a crescere insieme.

  3. Loredana

    Caro Andrea, grazie, come sempre, dei bellissimi spunti fotografici dove catturi natura e colore. Sandro Angelucci ha celebrato il grande poeta Lucio Dalla, scomparso da poco, in modo veramente degno. Ha ragione: in quel “a modo mio… avrei bisogno di carezze anch’io, avrei bisogno di pregare Dio” c’era una tenerezza infinita ma anche l’orgoglio di una vita “diversa”, libera, fiera. E con quanta chiarezza Franco ha aggiunto: “i sepolcri imbiancati hanno in odio l’armonia dei contrari. Loro sono schematici ed amano separare ciò che è unito. Hanno bisogno di demonizzare sempre qualcosa o qualcuno”. Ecco, credo che sia importante, in ogni sede, non stancarsi mai di lottare contro i censori di ogni genere e “partito”, contro ogni giudizio precostituito in nome della nostra libertà di essere e esprimerci. Un caro abbraccio.

  4. angiolina

    Carissimo Andrea,
    mi sento di ringraziarti per aver ricordato nel tuo blog il nostro Lucio Dalla, e soprattutto di averlo fatto tramite le toccanti e profonde parole di Sandro Angelucci.
    E’ vero Lucio ci ha lasciato improvvisamente e forse ancora oggi non ci si rende conto di quale grande artista sia sparito. Non sentiremo più le sue canzoni, mirabile fusione tra musica e parole, non lo vedremo più apparire con quel suo fare umile e dimesso pur essendo un personaggio di notevole successo.
    Ho ancora in mente quel capolavoro che ha accompagnato la mia adolescenza, voglio dire L’anno che verrà, ma vanno ricordati anche tutti gli altri suoi successi: è stato un grande piacere crescere e maturare con le sue melodie.
    Insomma è scomparso un personaggio di grande umanità: resterà nei cuori di chi ha apprezzato la sua musica.
    UN abbraccio. Angiolina

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