Personalmente non sono d’accordo con quella forma di snobismo sempre più diffusa in base alla quale il contatto con il mezzo televisivo è comunque il Male, a prescindere. Non a caso ho detto il mezzo televisivo: cui devo, recentemente, la lettura di un romanzo breve di Colette quale Chéri. Ma andiamo con ordine. Circa due settimane fa, su RAI 5, se non ricordo male, ho seguito per l’appunto il film Chéri di Stephen Frears del 2009, tratto dal romanzo di Colette, con una bravissima e sempre bella Michelle Pfeiffer nel ruolo della protagonista della vicenda, Léa. Chi è Léa? una matura e affascinante prostituta d’alto bordo ritiratasi a vita privata nella Parigi d’inizio Ventesimo secolo. Ora questo accade: che una donna pur avveduta del suo stampo -per compiacere una sua “collega” di un tempo, Madame Peloux- vada ben oltre il previsto “svezzamento” di Peloux figlio, ossia Chéri, portando avanti con il diciannovenne “pupo cattivo” e bellissimo, una relazione della durata di sei anni. Il dolore tocca profondamente il cuore di Léa quando il ragazzo sposa la figlia diciannovenne di un’amica di Madame Peloux (peraltro anche Chéri -questo l’appellativo materno con cui viene chiamato il “pupo cattivo” e arrogante e fin troppo compiaciuto della sua grande bellezza- soffre, e non poco, per il distacco dalla sua matura amante). I due si rivedranno, per una notte d’amore che dovrebbe sancire il ritorno definitivo di Chéri da Léa, eppure…non avevano fatto i conti, essi, con quello che potremmo definire il Convitato di Pietra della vicenda, e cioè il Tempo; che quella stessa notte e poi la mattina successiva emette il suo inesorabile verdetto. La pur seducente, saggia e ancor bella Léa, cinquantenne, dovrà infatti lasciare andar via il “pupo cattivo” in quanto marito ancora acerbo ma comunque non più disposto a farsi guidare dalla sua materna amante di un tempo. Cosa dire a questo punto? Che il film di Frears è più che godibile ed elegante; laddove il romanzo di Colette, da me letto nei giorni successivi, è veramente bello. Sappiamo che Colette è stata, in Francia come in Europa, la scrittrice più famosa del Novecento. Una “penna” facile, la sua, troppo popolare? Ma io leggo nell’ Enciclopedia Europea (della Garzanti) dell’istinto sicuro di una autrice capace di muoversi con eleganza in un mondo poetico fatto di sensazioni (i suoi personaggi guidati quindi dalla “morale sensitiva”, così chiamata da Rousseau, Confessions, IX, 7; si potrebbe aggiungere). Sempre nell’Europea il giudizio di valore conclusivo sulla scrittrice francese è dunque quello del riconoscimento di un raggiunto equilibrio, nella sua prosa, fra gusto voluttuoso della parola e classica sobrietà dello stile nel suo insieme. Tornando alla mia lettura di Chéri, vorrei qui sottolineare che netta è stata la mia percezione, a conti fatti, di una chiarezza espressiva “cartesiana” alla base del breve romanzo, che si “divora” tutto d’un fiato; ma non per la sua futilità -badiamo bene- piuttosto per lo sguardo lucido che Colette rivolge alle sue creature romanzesche, nessuna esclusa. Tant’è che per precisare più efficacemente ancora quanto vado dicendo, trovo opportuno citare le battute iniziali della terza delle Lezioni Americane di Italo Calvino (Garzanti, 1988), sull’ Esattezza. “Esattezza vuol dire per me soprattutto tre cose: 1) un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato; 2) l’evocazione d’immagini visuali nitide, incisive, memorabili…3) un linguaggio il più preciso possibile come lessico e resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione”. Ecco, la Colette di Chéri è a me risultata mirabilmente esatta nel rendere le sfumature dei pensieri e delle fantasie di Léa, del “pupo cattivo”, di Madame Peloux ed altri personaggi del romanzo…quando insomma una fortuna letteraria di stampo europeo è ben radicata nell’arte di saper scrivere e narrare: come nel caso di Colette, in definitiva. Il romanzo di Colette Chéri, è stato da me letto nella bellissima traduzione dal francese di Giulia Arborio Mella (Adelphi Edizioni); la foto qua sopra, infine, mia, è stata scattata presso il Musée D’Orsay di Parigi anni addietro, e ci permette di osservare un dipinto famoso e stupendo di Edgar Degas, L’absinthe (1876).