Come passa in fretta il tempo! esattamente un anno fa, presso la libreria romana “Nuova Europa”, introdotto da Novella Bellucci (Università La Sapienza di Roma), in presenza di un pubblico attento, mi sono “abbandonato” alla lettura interiore (così la Bellucci ha voluto definire la mia recitazione a memoria) della leopardiana GINESTRA. Ricordo il mio coraggio leonino di quel due febbraio di un anno fa, grazie al quale, abbandonandomi, come dicevo sopra, ad una vera e propria sinfonia in versi (come altrimenti definire LA GINESTRA?), ho portato a termine la mia lettura senza amnesie; anzi, con energia e convinzione. Il giorno successivo nevicò, a Roma; ed io mi sentivo contento, in casa, per aver potuto comunque contare, il giorno prima, su un pubblico partecipe, non ostacolato dalle intemperie per questione di ore. Bene. Non intendevo essere auto-celebrativo (almeno spero); in quanto mosso, piuttosto, nel mio ricordo, dall’oraziano “carpe diem” che, saggiamente, ci esorta a vivere, su questa terra dove non sostiamo più di tanto (ed io posso affermare di aver sentito veramente la profondità della vita in virtù del fuoco della grande poesia, il due febbraio dello scorso anno). Al poeta della mia vita, Giacomo Leopardi, do pertanto quest’ oggi la parola per offrire ai visitatori del blog i seguenti versi estrapolati dagli “sciolti” AL CONTE CARLO PEPOLI (scritti a Bologna nel 1826; in onore, appunto, del gentiluomo e letterato bolognese amico del Recanatese dall’anno precedente):
“…Ben mille volte
fortunato colui che la caduca
virtù del caro immaginar non perde
per volger d’anni; a cui serbare eterna
la gioventù del cor diedero i fati;
che nella ferma e nella stanca etade,
così come solea nell’età verde,
in suo chiuso pensier natura abbella,
morte, deserto avviva. A te conceda
tanta ventura il ciel…”
(dai CANTI di Giacomo Leopardi; AL CONTE CARLO PEPOLI, versi 110-119)
P.S. la foto qua sopra, mia, è stata scattata a Recanati la sera del 29 giugno 2012, in occasione delle celebrazioni leopardiane nel giorno della nascita del poeta.
E’ giusto riconoscersi un valore, quando si ha, e tu il coraggio l’hai avuto. Puoi dirlo con fierezza, con quell’ardore che fa cantare la poesia oltre il cuore. Perchè anche della felicità hai fatto esperienza. Come ebbe a dire Plotino, la felicità “vera” è indefettibile, goduta nel presente…nell’atto della vita, quindi, fuori dal tempo o nel profondo della propria interiorità. Un modo per sottrarsi alla vicenda del tempo che tutto consuma…
Sicuramente l’essenza dell’infelicità leopardiana è il “disinganno”; in cui tu, profondo studioso e conoscitore dell’insigne poeta, riconosci l’essenza di tutta la sua poetica e filosofia. Anche se, dire “disinganno” non può che significare inequivocabilmente che la felicità costituisce per l’uomo la sua dimensione originaria. (“…io mi pensava, arcani mondi, arcana felicità fingendo al viver mio!”)
Ancora bravo e un caro abbraccio. Mirka
Ti ringrazio per aver colto, in questo mio articolo, il brivido da me provato della felicità vera, quel due febbraio dello scorso anno; quando dall’esistenza si approda alla profondità della vita. Sull’essenza del pensiero e della poetica di Leopardi davvero non sbagli, con uno specifico riferimento che si può fare a proposito della “teoria del piacere” (1820), centrale nello Zibaldone; e che peraltro segue di un anno la scrittura poetica dell’Infinito. Sì, il grande Recanatese ha sempre riconosciuto alle “illusioni” un potere benefico e vitale: pur rimanendo, esse, illuministicamente, per lui, tali; illusioni, appunto. Vorrei sottolineare ancora una volta i motivi dell’amore profondissimo che porto alla Ginestra; si tratta veramente di una spiazzante sinfonia poetica del Leopardi estremo e più maturo; il Leopardi, insomma, che così si esprime, immedesimandosi più intimamente con l’umile fiore, nelle battute finali del carme: “…anche tu presto alla crudel possanza/ soccomberai del sotterraneo foco,/che ritornando al loco/ già noto, stenderà l’avaro lembo/ su tue molli foreste. E piegherai/ sotto il fascio mortal non renitente/ il tuo capo innocente:/ ma non piegato insino allora indarno/codardamente supplicando innanzi/ al futuro oppressor; ma non eretto/ con forsennato orgoglio inver le stelle…”. Ecco, in questa età della vita in cui per così dire ci si tuffa in se stessi, il pessimismo leopardiano divenuto negli ultimi anni del poeta sapienza, può insegnarci senza fughe consolatorie a prendere di petto il male, per crescere in consapevolezza senza pretendere di poter domare la crepitante lava che trabocca dal Vesuvio-realtà… Anche da parte mia un caro abbraccio a te che per prima e privatamente ascoltasti la mia lettura interiore della Ginestra; suggerendomi, lo ricordo bene, di muovere soltanto gli occhi…essendo io non un attore o un fine dicitore di poesia, ma solo, semplicemente e fino in fondo, credo, un poeta.