Recentemente, parlando con Claudio Fiorentini -ben noto, ormai, ai visitatori del presente blog- della poesia di Ninnj Di Stefano Busà, ho insistito sull’equilibrio a mio avviso evidente fra ispirazione e ars poetica nella liriche di questa grande poetessa. Per tale motivo mi è venuto in mente di presentare quest’oggi in onore della Busà la foto qua sopra (da me scattata giorni addietro all’interno della chiesa romana di San Girolamo della Carità, al cospetto della meravigliosa prima cappella d.; fra le ultime opere di Francesco Borromini: laddove è possibile ammirare la singolare, bellissima balaustrata a drappo sostenuto da angeli, di Antonio Giorgetti). Ebbene, avendomi la poetessa inviato la sua ultima e premiata raccolta dal titolo Ellittiche Stelle (Ed. ETS, con prefazione di Nazario Pardini, 2013), non posso che confermare quanto appena detto; nel senso che un trasparente esempio del suddetto equilibrio è percepibile a parer mio nella poesia (inclusa nella raccolta) che mi accingo a presentare con il consenso della Busà:
Non riconosco più le trame del pensiero,
il levarsi dei giorni docili alla vita.
Primavere scandimmo, di gelsi e melograni,
di magnolie candide nel vento.
E un sole immenso a illuminare la piana
del crepuscolo, la tortora riverberata
nel suo arco di speranza.
Ora so che il giorno mi denuda,
ignora i riverberi azzurri,
allude all’infinito dell’istante,
la perfezione viva del tramonto,
fuoco deragliato tra le stoppie:
non fa differenza la luce dalle ombre.
Così ricordo tutte le mie lune
arenate in cieli d’altri tempi,
parole tremano alle labbra
come ala che fende l’orlo della terra
e impazza ai muri di silenzio
tra torbide risate e il miele già disciolto.
Sono radice e linfa, brezza nella carne,
mi apro a ventaglio al mio dolore.
(poesia di Ninnj Di Stefano Busà)
…equilibrio peraltro di pieni e di vuoti, in questa poesia (“E un sole immenso a illuminare la piana/ del crepuscolo”), frammisto all’abilità estrema nel passo indietro dell’io poetico per far parlare direttamente le cose, nel vortice di un ritmo vitalissimo e implacato ad ogni giro di verso…e che dire della raffinata estetica della citazione tipica della Busà che però, nella poesia in oggetto, mi ha particolarmente toccato? alludo al verso “come ala che fende l’orlo della terra”, che mi ha fatto pensare al poeta del nostro Novecento da me maggiormente amato, e cioè Giorgio Caproni (il cui capolavoro è, per unanime riconoscimento di critica e pubblico per l’appunto Il muro della terra, del 1975). Infatti, cosa dice la Busà nel verso successivo a quello appena citato? “e impazza ai muri di silenzio”… qui mi fermo, per quanto mi riguarda, di fronte a una poesia bellissima e struggente nel senso più asciutto che si possa immaginare. Mi fermo, stavo dicendo, dovendo dare la parola a un grande scrittore, critico e traduttore del nostro tempo, Ernesto Ferrero, che così si esprime a proposito della poesia di Ninnj Di Stefano Busà :
“Ho letto i Suoi versi, che attestano l’indubbia qualità del Suo lavoro e del livello espressivo, controllato da una mano sicura.
In genere faccio un po’ fatica a leggere la poesia contemporanea, perché spesso è inquinata dal poetichese, cioé da una maniera stucchevole e compiaciuta di effetti peraltro risaputi e mai originali; o involuta in fumismi gratuiti che non si lasciano decifrare. Mi sembra che Lei sappia evitare l’uno e gli altri, trovando una cifra personalissima, un tono e un esito assolutamente persuasivi.”
…opportuno riportare qui una breve ma significativa nota biografica di Ernesto Ferrero:
Ernesto Ferrero è nato a Torino nel 1938. È stato direttore editoriale di Einaudi e Garzanti, e direttore letterario di Mondadori. Dal 1998 è direttore della Fiera Internazionale del Libro di Torino. Si è occupato di linguistica, di critica letteraria, storia. Come narratore, ha vinto il Premio Strega 2000 con il romanzo N. , che rievoca i trecento giorni dell’esilio elbano di Napoleone attraverso gli occhi del suo bibliotecario. Del 2001 è L’anno dell’Indiano, storia vera di un geniale istrione nell’Italia del 1924. I suoi libri più recenti sono un trattatello sul sistema operativo di Napoleone organizzatore e manager (Lezioni napoleoniche, Mondadori 2002, Premio Elba e Rhegium Julii), e il monologo teatrale Elisa, che dà voce alla sorella dell’imperatore, principessa di Lucca e granduchessa di Toscana (Sellerio, 2002). Traduttore di Céline (Viaggio al termine della notte, Cassepipe) e di Flaubert (Bouvard e Pécuchet), è collaboratore de “La Stampa”.
A Ninnj Di Stefano Busà in conclusione, che fa onore al presente blog, va il mio sentito ringraziamento per la raccolta dalla quale ho estrapolato la poesia oggi presentata; per me, ripeto, particolarmente significativa.
Ho letto la poesia di Ninnj, due volte in silenzio, poi due volte ad alta voce (come sostengo che vadano lette tutte le poesie), e poi ci sono tornato su, rigustando i frammenti e i versi che più mi hanno fatto prendere coscienza di me stesso. Credo che la poesia appartenga a chi la legge, perché tocca l’inespresso che giace in ciascuno di noi, e lo risveglia. Ecco la parola: risveglio…
Dormivo, poi ho “sentito” che non fa differenza la luce dalle ombre… e mi sono ri-svegliato.
La poesia deve dare questo peso che sprofonda nell’anima, e che ci riscatta dalla trivialità, rendendo il momento profondo, libero, agghiacciante… sì… agghiacciante… perché in quel momento siamo presenti alla nostra vita più che in altri momenti, e vediamo di quanto spreco siamo pieni, e ne abbiamo orrore. Meno male, perché allora vuol dire che la poesia ci risveglia dal sopore e ci costringe a guardare il mondo con gli occhi di dentro, aperti…
La poesia è risveglio, riscatto del tempo, coscienza della vita, vicinanza all’anima, allo spirito e… forse… a Dio…
Mi piace dire che la poesia è inutile, non serve a niente… il mondo va avanti lo stesso… grazie agli ingegneri, ai medici, agli informatici, ai chimici… ma mi chiedo, come reagirebbe (ad esempio) un ignegnere se prima di progettare un detonatore di mine antiuomo, si leggesse, con attenzione, una bella poesia? Il detonatore lo progetterebbe lo stesso, questo è certo, ma non si sentirebbe forse in dovere di fare i conti con la propria coscienza? E a cosa gli serve fare i conti con la coscienza? A niente? Forse nell’immediato… ma se questa sensazione di peso che sprofonda nell’anima diventa un bisogno della persona, che traccia lascerà nella vita di quell’ingegnere?
Ed ecco a cosa credo che serva la poesia: a renderci migliori!
Questo è il messaggio che mi ha lasciato la lettura di oggi, in questo blog.
Bello il frammento di Ferrero, che ben ritrae la realtà poetica contemporanea.
Con grande piacere accolgo questo bellissimo commento dell’amico Claudio Fiorentini, scrittore e pittore ben noto ai visitatori del presente blog; e in effetti, come ho scritto, proprio conversando con Claudio molto ho insistito sullo spessore elevato (e sempre più chiaro al mio sentire) della poesia della Busà.
Ringrazio con tutto il cuore Claudio Fiorentini,
la sua nota, quale discettazione sulla poesia è già poesia essa stessa.
Delinea quello che è la prassi in presenza di un testo poetico: è risveglio, riscatto del tempo, coscienza della vita…egli afferma…
Tutte cose che anch’io penso, ma più di ogni altra cosa, credo che sia bisogno dell’anima, elevazione dell’uomo a Dio. Solo in quel momento l’individuo è puro dinanzi all’eternità, al sogno, e quel momento inequivocabilmente corrisponde al contatto con l’infinità, perché la Poesia è un canale speciale, un sottile filo che conduce al mistero.
Caro Andrea, ho letto anch’io “Ellittiche stelle” e sono rimasto colpito dall’andamento musicale del verso, dolcissimo e amaro nello stesso tempo. “Non fa differenza la luce dalle ombre”, scrive la Busà, e forse è questo il mistero cui lei stessa allude rispondendo a Claudio. Mistero senza alcun dubbio divino, che la Busà definisce “Dio” direttamente, depurando – è ovvio – il termine da ogni contaminazione razionalistica. La poesia non può ignorare il mistero, nel quale da sempre, anzi si tuffa, per bere alle sorgenti universali della vita, rinunciando alla tentazione di imprigionarle in formule e dogmi razionalistici. L’orbita di questa “Ellittiche stelle” non è altro, in fondo, che il percorso metafisico-esistenziale dell’uomo stesso. Un viaggio di andata e ritorno, dove la gioia e il dolore, il bene ed il male, non si separano tra di loro, ma sono facce della stessa medaglia, tappe obbligate dello stesso percorso. È l’onda ventosa dell’incalzante andare della vita, che procede dall’alba al tramonto, per tornare perennemente all’alba e al tramonto, giacché non c’è affermazione senza negazione, e viceversa. E se è vero che “il sogno delle favole-bambine / più non cresce tra le nostre braccia, / … / Non è tempo di prodigi / che inondano di luce la città dei vinti”, è altresì certo che noi “inventeremo un nuovo giorno, / un’alba di rinnovato stupore / al sole d’innocenza. / La luce è incorruttibile stasera, / inventa nuove favole, / sgrana rosari / e fiori abbandonati”.
Caro Franco, mi fa piacere ricevere questo tuo commento a integrazione di quanto ci siamo detti giorni addietro al telefono. Sull’altezza della poesia della Busà non possono sussistere dubbi di sorta, a vari livelli di fruizione e di estetico godimento. Quello che stupisce, è, come osservavo, l’acuto costante, senza cedimenti, di un lavoro artistico copioso: implacato (aggettivo da me scelto volentieri per qualificare spero al meglio la tensione poetica vibrante in questa nostra grande poetessa).