Benigni

Mi dispiace e tuttavia, con I dieci comandamenti  in prima serata televisiva (15 e 16 dicembre), urge precisare da parte mia che Roberto Benigni ha toccato il fondo della melensaggine (per povertà evidente d’ispirazione). Un mio tweet esprimeva infatti in tempo reale durante la prima puntata l’equazione Benigni=camomilla, essendomi sul serio addormentato davanti allo schermo al cospetto di siffatto tele-predicatore; lanciato ormai in una avvilente lotta al ribasso con Celentano, in materia. Un certo conforto l’ho provato il giorno seguente, leggendo sul Fatto Quotidiano il corrosivo articolo di Domenico Naso sul declino di Benigni, passato nei decenni da Tele-Vacca a Tele-Vaticano, nella sostanza. Vera e propria mutazione antropologica di un “folletto” irriguardoso al suo esordio (ricordo negli anni Ottanta -roba davvero del secolo scorso!- il suo palpare senza dir parola la Carrà che gli chiedeva questo e quello; mobilitata com’era anch’essa a diffondere i germi della sottocultura -oggi imperante nella nostra società- con il suo ineffabile programma televisivo Pronto, Raffaella?). Poi Begnini ha vinto l’Oscar con il suo film La vita è bella (1997), toccante e ispirato (non un indimenticabile capolavoro, a parer mio). Tant’è. Me lo ricordo pure, il Roberto nazionale, nel Duemila a Roma presso i  Mercati Traianei “apparire” di nero vestito assieme alla moglie Nicoletta Braschi, in occasione dei canti più famosi dell’ Inferno dantesco magistralmente letti e commentati da Vittorio Sermonti. Come due inavvicinabili statue di cera, Roberto e la moglie furono allora percepiti non soltanto da chi scrive… il seguito del percorso artistico del Nostro registra film inguardabili e il ricorso negli ultimi anni al Sommo Poeta, “divulgato” in modo frizzante ma recitato con tono monocorde (da far tremar le vene e i polsi ) a Firenze, con tanto di dvd in coda. L’unica eccezione d’una rovinosa involuzione dell’artista, a mio avviso, lo spettacolo del dicembre 2002 L’ultimo del PARADISO, focalizzato sul canto conclusivo della Commedia dantesca; riconoscendo per quanto mi riguarda a Benigni nella fattispecie il merito di averci fatto un bel dono natalizio; lasciandoci in qualche modo immaginare con vivace umanità la luce sottesa ai versi finali del Sommo Poeta. Sto per venire al dunque: l’altra sera in sostanza non mi è andato proprio giù di Benigni quel suo parlare di Dio senza mediazione alcuna (letteraria, per esempio); così, in presa diretta, come se il suo misticismo in fiore fosse a priori accettabile da tutti. Mi viene in mente, per concludere (si parva licet!) la figura di Gioacchino Rossini vecchio e immalinconito a Parigi, dopo i fasti dei capolavori giovanili; ora, a parte il fatto che tutto ciò non impedì al musicista la creazione di un superbo e quasi testamentario Stabat mater, degna di nota mi sembra la sua accertata consapevolezza di un esilio artistico dovuto soprattutto al mutato gusto del pubblico (di fronte all’astro nascente e irresistibile di nome Giuseppe Verdi). Per cui il “settecentesco” Rossini tacque, preferì la penombra, a tal punto. Altri tempi, la televisione non era stata ancora inventata e non correva quindi l’obbligo di esibirsi in pubblico con la propria botte del tutto vuota d’ispirazione.

2 commenti su “

  1. Francesco

    La tua analisi, tanto pulita ed incisiva, quanto attenta e colta, ci offre una lettura critica sulla qualità in generale dei prodotti che la NOSTRA televisione ci offre. Infatti, è consuetudine offrire programmi che partono da eccellenti opere per farne delle quasi irriconoscibili operette, quasi a mutare l’obiettivo del mezzo, che anziché parlare alla mente degli ascoltatori, si parla solo alla loro pancia e quindi ecco che affiorano ammiccamenti e slogan ormai scontati. Anch’io credo che lo spettacolo offerto sia stato al di sotto delle aspettative e spesso riempito di frasi fatte quasi ad affrancare degli stereotipi, ad esempio i politici rubano, i figli non onorano i loro genitori. Lanciare slogan come se fossero colpe di altri, di un mondo che non ci appartiene, di qualcosa fuori da ogni controllo, tanto noi siamo nel giusto. Ecco quello che più mi ha infastidito è il tentativo di veicolare quel qualunquismo del -sono tutti cosi ma io sono diverso.
    Un caro saluto
    Buone Feste
    Francesco

  2. andreamariotti Autore articolo

    Ma certo, Francesco, qualunquismo chiama qualunquismo (il chiamarsi “fuori”…).Tuttavia, ripeto, a monte quello che proprio mi è sembrato inaccettabile nello spettacolo del Nostro è assunto iniziale dell’esistenza di Dio e amen. Lasciamo tale assunto a uno del “mestiere”, ossia papa Francesco; uomo grande in parole e opere, a prescindere dall’abito che indossa.
    Un caro saluto e buone feste anche da parte mia

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