Marsia

Quando quel tale ebbe narrato la fine dei Lici,/ un altro si ricorda del satiro che fu sconfitto dal figlio/ di Latona nella gara del flauto inventato da Pallade,/ e punito. “Perché mi togli dalla mia persona?/ MI pento” gridava, “ahi, ahi il flauto non vale tanto”./ E mentre urlava la pelle gli era strappata per tutto/ il corpo, che era tutto una ferita. Ovunque stilla/ il sangue, i muscoli vengono scoperti,  le vene/ pulsanti balzano senza più pelle –si possono/ contare le viscere e le fibre diafane sul petto./ I Fauni di campagna, divinità delle selve,/ e i fratelli Satiri e l’Olimpo, caro anche in quel frangente,/ e le ninfe lo piansero, e anche tutti/ quelli che sui monti pascolavano pecore e mandrie/ con le corna. Il suolo fertile fu inzuppato di lacrime;/ la terra accolse le lacrime e le assorbì nel profondo:/ poi, dopo averle mutate in un corso d’acqua, le riversò all’aria aperta./ Perciò il fiume che scorre tra rive ripide verso il mare impetuoso,/ si chiama Marsia, ed è il più limpido della Frigia.

OvidioLE METAMORFOSI, VI, 382-400; traduzione di Guido Paduano

 

Nella foto, il bellissimo marmo policromo -II sec d.c.; copia di un prototipo bronzeo probabilmente risalente a quattro secoli prima (Pergamo, Asia Minore)- del satiro Marsia a supplizio iniziato: appeso a un albero, patisce la spietata punizione di Apollo, vincitore della contesa musicale nella quale il superbo Marsia aveva avuto l’ardire di sfidare il dìo. Tale statua del satiro, rinvenuta a Roma nel 2009 presso il Parco degli Acquedotti, è ora in mostra in Campidoglio fino al primo febbraio 2015, nella stessa sala dove si trova il Marsia degli Horti di Mecenate (Palazzo dei Conservatori). Rispetto a quest’ultima, la statua degli Acquedotti in oggetto risulta nel volto di classica compostezza, pur nell’atrocità del momento. Occasione preziosa, la visita odierna ai Musei Capitolini, per ripensare all’affascinante e crudele mito splendidamente rievocato da Ovidio.

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