Giacinto Spagnoletti:

la Letteratura Italiana

del Novecento

a “Tor Vergata”

 

In occasione della donazione del

Fondo “Giacinto Spagnoletti” all’Ateneo

 

Saluti Giuseppe Novelli, Magnifico Rettore

Emore Paoli, Direttore del Dipartimento di Studi letterari, Filologici e Storia dell’Arte Franco Salvatori, Direttore del Dipartimento di Storia, Patrimonio culturale, Formazione e Società

Massimo Giannini, Direttore del Centro Congressi e Rappresentanza “Villa Mondragone”

Santo Lucà, Direttore del Centro di Gestione

Sistema Bibliotecario di Ateneo

 

Interventi di

Paola Benigni

Raffaele Manica

Giorgio Patrizi

Plinio Perilli

 

Coordina

Rino Caputo

Conclude

 

 

 

 

 

Aula Sabatino Moscati Lettere e Filosofia Università di Roma “Tor Vergata” via Columbia, 1

 

martedì 11 aprile 2017

ore 10.00

IL FONDO SPAGNOLETTI

(presso la Seconda Università romana di Tor Vergata)

 

 

UN SECOLO INCARNATO DI LIBRI, UN INTERO

TEATRO DI SCRITTORI E DESTINI; CATALOGO

TESTIMONIALE DI MOVIMENTI E POETICHE…

 

 

 

 

 

Il dono dell’immensa biblioteca di Giacinto Spagnoletti alla II Università romana di Tor Vergata (per generosa volontà dei suoi figlioli, Giovanni, germanista e storico del cinema; e Luca musicista elettronico: ma ricordiamo anche la consorte di Giacinto, Piera  Incerti Spagnoletti, compagna d’una vita, di sessant’anni di gesta umane ma soprattutto creative, culturali, dell’intera nazione, l’umile Italia) sempre più acquista col tempo il valore inestimabile di una testimonianza unica, quale repertorio e bilancio: quello di un poderoso strumentario di risorse letterarie per indagare o rinvenire poetiche, ansie e culti movimentisti, le esperienze d’un intero secolo – il ‘900 – ivi compresi i suoi preziosi incunaboli storicistici e le sue risultanze, cioè proiezioni post-moderne…

Classe 1920, tarantino, laureatosi a Roma (dove poi morirà nel 2003) Giacinto Spagnoletti aveva fatto in tempo ad assorbire insieme la lezione storicista ed il piglio crociano, liberale, degli eventi. Tanto per dire: tutta la prestigiosa collezione LATERZA (Bari) dei saggi che allora dettavano il ritmo, l’auspicio, la ricerca, l’Aesthetica in nuce, “La Critica” (citiamo la mitica rivista di Benedetto Croce, e due celebri opere), insomma La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte… Senza però omettere le grandi ansie d’intervento e rinnovamento che venivano dai grandi movimenti d’etica politica (“Giustizia e Libertà”, i fratelli Rosselli, martiri laici, Piero Gobetti primo editore di Montale); ma prima ancora il destino di riviste come “La Voce”, “Lacerba”, il ruolo di Papini e Prezzolini, poi De Robertis; ancora, “La Ronda” di Cardarelli, l’eleganza che trova nuova linfa nel rigore del Leopardi prosatore, pensatore sempre, filosofo dentro e oltre la poesia.

Non mancano, tanto per dire, i repertori più cospicui tra fine ‘800 e inizio ‘900, ma anche collezioni decisive per “La letteratura italiana. Storia e testi”, come quella appunto testimoniata dall’editore RICCIARDI (Napoli-Milano), e curata o diretta, via via, da Mattioli, Pancrazi, Schiaffini, Contini… Basterebbe del resto ripercorrere tutte le opere, gli studi o i testi creativi di un Emilio Cecchi, e poi magari Cardarelli (ma prima ancora di Carducci, Pascoli e D’Annunzio), per vedere concretato il ruolo e i meriti dei grandi editori dell’Italia Unita, e poi, dall’800 al nuovo secolo, moderna “in progress”: BARBERA (Firenze), ZANICHELLI (Bologna), SANSONI (Firenze), SOMMARUGA (Roma), GIUSTI (Livorno), SANDRON (Palermo), MONDADORI (Verona-Milano), CARABBA (Lanciano), TREVES (Milano), BIDERI (Napoli), PUCCINI (Ancona), CORBACCIO DALL’OGLIO (Milano), BEMPORAD (Firenze), HOEPLI (Milano), Treccani-Tumminelli (Roma), NERI POZZA (Venezia), LE MONNIER (Firenze), L’ITALIANO (Bologna), NOVISSIMA (Roma), EDIZIONI DELLA MERIDIANA (Mlano), etc.

Il “Fondo Spagnoletti” fiorisce appunto di tutti i loro titoli, meriti e curricula

 

Critico sopraffino, aggiornato sempre sulle direttive europee, fin dalla giovinezza (Renato Serra e l’Esame di coscienza di un letterato furono il suo primo fulcro, il dogma dimostrabile della sua tesi di laurea, discussa con Natalino Sapegno), Spagnoletti fu anche e soprattutto amico di scrittori, poeti, editori; e insomma loro illustre, fervido consulente, o consigliere, propagatore di novità… Leggeva i loro versi ancora inediti, prodigo di consigli e piccole o grandi illuminazioni: stiamo parlando delle prime raccolte di Mario Luzi, Parronchi, Bigongiari, lo stesso Caproni, Attilio Bertolucci, Alfonso Gatto…

Nuovo fu il suo approccio alla poesia, alla critica moderna – anzi assolutamente contemporanea – di questa disciplina che strappò, salvò da ogni equivoco diciamo formalistico, o estetizzante rischio d’accademismo… Giovane studente a Roma, e poi neolaureato, andava a conoscere, a incontrare de visu i grandi della prima metà del secolo: Sbarbaro (su cui fece un saggio profetico), Govoni (la sua antologia gli donò una senile rinascita, dopo il dolore della morte del figlio Aladino, trucidato alle Fosse Ardeatine), e tutto il Novecento che davvero contava: Jahier, Palazzeschi, Rèbora, Penna, Ungaretti, Vigolo, Montale, Betocchi, Barilli, Landolfi, Sinisgalli, Carrieri, Petroni, Solmi… Ivi compresi buoni autori misconosciuti che lui, di volta in volta, s’incaricava di traghettare verso spiagge più luminose: Michele Pierri, Antonio Rinaldi, Saverio Vòllaro…

 

Quando nel ’46 Giacinto Spagnoletti propose in due volumi, da VALLECCHI, i nuovi poeti italiani (Antologia della poesia italiana contemporanea), arrivava con piglio sicuro fino ai suoi stessi coetanei… Diede insomma ai vari Luzi, Caproni, Bertolucci, lo stesso Gatto, e Sereni… quello spazio che forse i critici paludati, i cerimonieri o nocchieri di lungo corso come Giuseppe De Robertis non erano ancora pronti a concedere…

Ma nel ’49, da Guanda, tanto per dire, Giacinto fece ancora di più, come fervoroso talent scout “novecentesco”: propose un Pasolini ancora davvero sconosciuto, e puntò su una Alda Merini 18enne che ben pochi avrebbero messo a suggello di un’antologia aperta, sulle ceneri (o sui bulbi in serra) di Pascoli e di D’Annunzio, dai Futuristi del celeberrimo e “incendiario” Manifesto del 1909… (Antologia della poesia italiana 1909-1949)

 

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Tutto questo è infatti rappresentato dai migliori libri di quelle stagioni: le presto mitiche edizioni VALLECCHI… In piena guerra Enrico Vallecchi progettava e concretava edizioni su edizioni, aggiornando Spagnoletti addirittura sui quantitativi di carta rimasti, o sulle drammatiche bombe d’aeroplano piovute sulla sua tipografia… Ma insieme lo invogliava, lo catechizzava a consegnare i nuovi testi in lavorazione, le fresche bozze corrette…

Anche GUANDA, ripetiamo, fu un capitolo decisivo: nativo di Modena (come il suo grande amico Antonio Delfini, dandy e prosatore elegantissimo), Ugo Guandalini operava in realtà a Parma (e il mondo parmense fu davvero alle origini dei primi innamoramenti poetici di Spagnoletti, in un periodo in cui nella città e nel vecchio raffinato “Ducato” di Maria Luigia d’Austria vivevano, insegnavano, moltiplicavano cultura personaggi presto mitici come Attilio Bertolucci e Oreste Macrì, per un po’ lo stesso Luzi, insegnante alle prime armi ma già adepto della Musa poetica.

Sì, perché dopo e insieme a Parma, fu Firenze la città più gettonata dei suoi anni ’40 e poi ’50… Ed era ancora, almeno agli inizi, la città di “Solaria” e del Montale delle Occasioni, dell’ermetismo appunto più fiorito, arcano-simbolico, ma anche dell’impegno insieme lirico e naturalistico del miglior Bilenchi (senza dimenticare il toscanismo semplice, creaturale, dei Viani e dei Tozzi, dei Lisi e dei Tobino)…

Spagnoletti, dal ’47 visse poi a Milano: e gli amici di via del Torchio erano letterati già decisivi come Maria Corti, Giorgio Manganelli, poi la Merini, Sergio Antonielli, Enzo Fabiani, Luciano Erba, Angelo Romanò…

Per tutti gli anni ’50, e più ancora i ’60, le iniziative forse più importanti nell’editoria di poesia, passano per il suo nome: la lampeggiante collana che aprì da Schwarz, ad esempio (“Campionario”), e dove uscirono testi importanti come “Un grido e paesaggi” di Ungaretti (1952), il Luzi di “Primizie del deserto” (id.) e la primissima Merini de “La presenza di Orfeo” (1953)… Ma anche la mitica “Fenice”, diretta per Guanda prima da Bertolucci e poi da lui: forse la prima a portare in Italia il meglio e il nuovo della poesia mondiale…

E che dire poi degli anni clou della GARZANTI, di quel Livio Garzanti che lanciò appunto Pasolini, Parise, ma anche stampò Truman Capote, e credette nel talento dell’Ingegner Gadda, incoronando il suo Pasticciaccio?… Anni in cui da Garzanti, in quegli stessi anni, assieme a Giacinto (tra Milano e Roma), lavoravano anche Citati e Parise (che finì per ritrarlo, un decennio dopo, nel caustico bilancio de Il padrone), perfino l’estroso Leonetti (reduce, transfuga dal pasionario manipolo di “Officina”)…

Ed erano anche gli anni migliori della BOMPIANI (l’editore di Moravia e Zavattini, Eliot e Camus, Brancati e Flaiano, Patti e Savinio)…

Da MONDADORI, invece, Spagnoletti, nel ’52, osò un libro allora veramente inopinabile: quell’antologia Poeti del Novecento, in edizione scolastica, realmente antesignana per insegnare agli studenti il corso poetico del nostro secolo d’appartenenza… “Prima di tutto bisogna far comprendere. Il resto può venir da sé”… vergava Giacinto, profeta, sacerdote laico di Lari e Penati lirici nella “Premessa alla XII edizione”. Un altro grande successo.

A servizio dei giovani autori emergenti e delle nuove leve, EINAUDI inanellava invece i primi successi dei “Gettoni” di Vittorini, poi dei Coralli e Supercoralli… FELTRINELLI, affidava a Bassani una collana che fece scalpore, battezzò Il Gattopardo ma anche “I segreti di Milano” del primo Testori narratore realista… Come realista era Domenico Rea coi suoi racconti splendidi, impennati, briosi e formicolanti (Spaccanapoli, Gesù fate luce), usciti nella “Medusa degli Italiani” per MONDADORI… Nella “Medusa” classica, quella degli stranieri, d’indimenticabile color verde, Spagnoletti traduceva intanto, con le rovine ancora fumanti della Guerra, il Bernanos de I grandi cimiteri sotto la luna (aspra requisitoria contro il franchismo)…

IL SAGGIATORE, invece, eccelleva nei recuperi saggistici, nelle squisitezze d’avanguardia: cui l’amico Giacomo Debenedetti (col placet e la garanzia, il fido economico di Alberto Mondadori) diede nuove motivazioni e linfa fertile di esegeta… Come pochi anni più tardi faranno con l’ADELPHI Bobi Bazlen, Luciano Foà e Roberto Calasso, impregnati di fulgori mitteleuropei…

Negli anni ’60 da RIZZOLI, Giacinto direttore editoriale portò in catalogo (ne “La Scala”) testi forti di Bonaviri, Pomilio, e, giunti agli anni ’70,  perfino di Franco Cordero, esimio penalista… Fu inoltre artefice e fideiussore critico di grandi successi come quelli di Giuseppe Berto (Il male oscuro), Alberto Bevilacqua (La Califfa), Michele Prisco (Una spirale di nebbia)…

Sempre negli anni ’60, Spagnoletti (a parte suoi eroici viaggi/imprese di curatela come l’epistolario del Belli) allestì ottimi lavori per la LONGANESI, come una lunga, fascinosa intervista a Palazzeschi; e, a ruota, la ristampa ampliata e meditata d’un suo romanzo, Il fiato materno, che divenne davvero uno spaccato e un resoconto anche generazionale… Con tutte le sue sacrosante zone d’ombra, le rimozioni e i rimorsi…

Hic Rhodus, hic salta!

 

Davvero non manca nulla in quest’enorme Biblioteca (diversa, certo, da quella visionaria e borgesiana di Babele, ma resa sempre esplicita dal Dono inesauribile e collegante di un’unica lingua, l’Esperanto esimio della Qualità – al di là d’ogni discorso o scelta di stile e metodo, fantasmi e apparati, movimenti e poetiche…), che ho sempre visto in atto, nella grande casa/studio spagnolettiana di viale Regina Margherita, come una nave avventurosa, incagliatasi per mezzo secolo nei pressi di Villa Ada! Un prodigioso vascello della Cultura (davvero un galeone supremo, con quelle scansìe lignee zeppe di libri, pareti e pareti tappezzate, fino al soffitto; e le tante tele – o vele? – dei quadri, delle litografie, chine o gouaches e grafiche nate appunto in parallelo con quelle stesse opere, con quei frutti poetico-narrativi, spesso degli stessi artisti… Maccari, Bartolini, Guttuso, Savinio…

 

La passione per il ‘700 illuminista (“libertino” ma per squisita scelta filosofica) portò Giacinto, un po’ come il Fellini del Casanova, ad amori sfegatati per il Divino Marchese (De Sade) e più ancora il poco noto, ma strepitoso Restif de la Bretonne (autore di cui curò diversi libri, a partire da quelle vere chicche autobiografiche che sono Monsieur Nicolas e Le notti di Parigi)…

Cui va aggiunta una vera e propria, munifica febbre psicocritica (condivisa con esegeti come Giacomo Debenedetti, poi più tardi coi francesi più illustri e progressisti: Roland Barthes, Blanchot, il Lacan tanto caro all’amico Zanzotto, Derrida e la sua archiscrittura: all’origine del linguaggio non c’è la parola detta, ma una scrittura originaria…).

Restituita o meno alla scrittura un’importanza filosofica (come cercò di fare, l’abbiamo appena visto, la déconstruction), è la trinità umana, troppo umana d’ogni Personaggio e d’ogni Autore in cerca, ciò che solo conta, nasconde e insieme rivela: sia l’Io, che il Super-Ego, e per giunta anche l’Es, cioè Sua Trasparente Maestà, l’Inconscio… Freud, Jung & Co., allignavano nella sua biblioteca non meno che i tomi più illustri di Flaubert e Stendhal, Tolstoi e Dostoevskij, Verga e D’Annunzio, Pirandello e Svevo…

Svevo, ecco un altro suo punto forte: Giacinto ancora giovane, sul finire degli anni ’40, si rimise a indagare l’autore de La coscienza di Zeno come ben pochi in Italia (escluso, si sa, Montale) avevano ancora fatto. E nel corso della sua lunga carriera, Giacinto tornò su Svevo sempre in modo diverso, da diverse prospettive e con variate intuizioni, diagonali esegetiche…

 

A partire almeno dai primi anni ’60, lo prese poi – attenzione – un nobilissimo fervore di fantascienza, per cui andò testando e indagando moltissimi romanzi d’anticipazione (come amarono fare anche Sergio Solmi & Carlo Fruttero, con un’antologia indimenticabile come Le meraviglie del possibile)… Lo attraeva insieme quest’idea inveterata di futuro in atto e di passato inesausto – l’essenza forse della grande poesia e d’ogni grande letteratura.

 

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Per tutta la sua vita, dunque, Spagnoletti fu il critico di poesia per antonomasia – ma anche letterato aperto alle più originali tendenze anche narrative, fuori però dai luoghi comuni e dalle superfetazioni un po’ artificiose d’una avanguardia movimentista… L’avanguardia era infatti per lui sempre la qualità in atto, l’estro indubitabile…

Così, Spagnoletti, si trovò a occuparsi della Amelia Rosselli, poetessa bruciante, eretica oltre ogni lapsus o variazione bellica o serie ospedaliera; ma anche ad onorare il leopardismo melanconico-apocalittico di Anna Maria Ortese… E perfino la militanza civile, il continuum lirico-esistenziale di Danilo Dolci…

I migliori poeti “extravaganti” e comunque gli artisti tra segno e logos più emancipati, furono tutti sodali della sua apertissima vena critica… Umberto Bellintani e Lorenzo Calogero, Bartolo Cattafi e Luca Canali, Cesare Vivaldi e Angelo Maria Ripellino, l’irripetibile J. Rodolfo Wilcock… Chi ricorda che splendida antologia fece, nel ’64, delle poesie di Luigi Bartolini per REBELLATO?, altro editore fortemente sposato alla poesia – nella buona come nella cattiva sorte…

A partire almeno dagli anni ’70, Giacinto Spagnoletti s’immerse poi in una disamina appassionata e rabdomante della nostra produzione poetica in dialetto – che lo condusse a una vasta serie di saggi e studi critici, ma soprattutto, nel 1991, ai due voll. garzantiani di Poesia dialettale: imprescindibile repertorio, condiviso con Cesare Vivaldi, che parte dalla Rinascenza fino ai giorni d’oggi, regione per regione, area geografica (e radice linguistica), l’una dopo l’altra…

 

Nessuno dei migliori scrittori (e studiosi) del dopoguerra gli fu estraneo… Di Cassola e Pratolini fu amico; così come di Carlo Bernari e Raffaello Brignetti, Carlo Bo e Ruggero Jacobbi, Giancarlo Vigorelli e Leone Traverso, Ferruccio Ulivi ed Enrico Falqui; poi di Gianna Manzini e Anna Banti (la Signora Longhi stampò un suo romanzo nelle edizioni SANSONI, le stesse di “Paragone”), Mario Colombi Guidotti e Marcello Venturi, Libero Bigiaretti e Gina Lagorio, Gallian e Fenoglio… Inseguì poi come un Melville o Achab nostrano fra Scilla e Cariddi, l’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo; ma anche le poesie, l’avanguardia ininterrotta di Emilio Villa… Cooptò le satire “burocratiche” di Augusto Frassineti e L’irrealtà quotidiana di Ottiero Ottieri; i romanzi avanguardisti di Luigi Malerba, che molto piacevano, le variazioni sperimentali di Germano Lombardi, e le opere del tutto misconosciute di Angelo Fiore o Don Luca Asprea…

Estri e destini diversissimi, romanzeschi talenti del fare romanzo: Antonio Pizzuto e Mario Schettini, Salvatore Satta e Guido Morselli, Nello Sàito e Giuseppe Dessì, Piero Sanavio e Francesco Burdin, Dante Troisi e Giuseppe Cassieri, Giose Rimanelli ed Enrico Panunzio…

 

 

Di tutto questo rigore, ma anche fervore, la Biblioteca della sua vita, e ora il Fondo Spagnoletti, è, resta e si pone come lo specchio fedele e inesauribile…

E dona ad ogni studente, ideale o reso concreto dal bisogno di dedicarsi a un nome – uno dei tanti – che Giacinto aiutò e (ri)conobbe, una splendida possibilità di ricerca, una irripetibile ma adesso ben più facile “fantasia d’avvicinamento”, direbbe Zanzotto, davanti e Dietro il paesaggio del secolo, dei decenni da cui veniamo, ma per andare molto e molto più avanti, magari lì dove i megamicri romanzati, anticipati da Casanova nel suo Icosameron (che Spagnoletti tradusse e presentò con impareggiabile verve diacronica!)… sono ormai del tutto risucchiati dai nuovi, andanti film visionari o dalle fantasmagoriche, ultraspaziali saghe in 3 D.

 

(Roma, marzo 2017)

 

                                                                            Plinio Perilli

 

 

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