REPERTORIO DEI CIELI

salmodiato in Terra

 

(per Francesca Farina)

 

 

 

 

Quanto ardore, ansia e destino, nell’ultima testimonianza, vocazione poetica di Francesca Farina! Quanta fede, dedizione e adesione creaturale: che la stessa sua vena poetica pulsa e stringe e incanala in partitura lirica, scansione e immersione mistica…

 

È la pace del mondo, dura spoglia

Dei delitti del cuore, in cui dispero,

Ma lo sai che verrà alla tua soglia,

Che busserà d’incanto in pieno gelo…

 

Un salmodiare laico che nomina e convoca ovunque, comunque, la deità che ci guida, ci libera o ci imprigiona all’esistere…

 

E quando il sangue che ora ci divide

Si seccherà nel grembo d’ogni dio?

Quando l’infanzia regnerà sul mondo?

 

La perizia del verso, la misura quieta e finanche ossessiva le si fa strumento, regola, ordito, metrònomo lessicale e sintattico, per gesto supremo e insieme introiettato, inesorabile rito stilistico: eleganza, anche, e  ineluttabile perdizione, invocazione celestiale (quel celeste che lei ha messo, onorato in copertina: filigrana, essenza e materia del suo stesso titolo: color del Cielo, maiuscolo e in continuum…).

Ma brume e fiamme la tengono, la circondano, ne dilaniano e ritemprano, cauterizzano il Credo. Francesca infibra, rivive e incista ogni parola come sussurro, moto di canto, antifona verso il Sublime che le precipita – la precipita dentro, s’angustia in cento rime profetiche, profezie rimate…

 

Da qui in poi, inutile ogni pianto

e vana ogni preghiera, ogni sospiro,

benché l’Inferno al tocco del mio canto

intero si fermasse, ed io deliro

 

 

“Il Male”, L’ombra del male (il pascoliano, inesauribile “atomo opaco del male”) – certo, aleggia, vige, stride e ci asfissia…

 

E il male era l’ombra del mattino,

l’ombra, era il male, l’ombra,

era nell’ombra, soffiava,

gridando andava andava.

 

Ma qui la grande novità ci sembra proprio la voglia, l’intenzione di affrontarlo finalmente, cocciutamente ad armi pari, senza sospensione retorica, o peggio infingimento lezioso, glorioso… In pensieri, parole, opere e omissioni, per mia colpa… mia e nostra colpa…

 

In leucociti frenetici o infrolliti:

Scampa quello che puoi, oppure prega.

 

La maxima culpa di questo retaggio, oltraggio… taglia a metà il libro e nettamente l’incide, a suo modo lo risana, come incisione terapica, divisione di un tessuto col bisturi (arte e parola taglientissimi, e abili a risanare circoscrivere, esorcizzare)… Sono i punti più forti e drammatici del libro, che spende, ribalta poi tutta l’ombra in messaggio, omeopatia della Luce… Perdimento e riacquisizione; guarigione inesausta; preghiera e perdono; esercizio spirituale…

 

Il Repertorio dei Cieli avviene, accade quaggiù in Terra, a partire appunto da quella che Arturo Onofri, trascurato grande lirico spirituale e teosofo anni ’20, titolava e invocava cone la Terrestrità del sole (1927)…

Ecco il nitido, cantilenato salmo responsoriale (risposta del coro al solista – ma anche viceversa…) con cui Francesca riassume su questa tavolozza di celesti e di cuori mezza Storia dell’Arte, dunque anche repertorio di Fede…

 

Il cielo di Raffaello – smeraldo opaco

Il cielo del Caravaggio – oscuro orrore

Il cielo del Canaletto – seta, farfalle e rose di languore

 

 

Ed è l’istante più denso e nitido del piccolo, prezioso, neorilkiano “Libro d’Ore” – laico, ripetiamo, che la Francesca Farina dona a questo primo fastidito e fastidioso ventennio tecnologico, iperdinamico, ultraprogredito del Nuovo Secolo, digitale allo stato brado, corrotto, contagiato ma non certo salvato dall’Informatica come Scienza d’Etere e forse immenso Cortocircuito… Male in nuvola di ioni, ed Io oramai senza più nomi…

 

Gli sconosciuti passati senza scampo

Lo stanco passeggero senza nome

E ti tormenta il fianco l’oppressione

Ignota, la nascosta malattia

La depressione, cane senza cuore.

 

Il Mito, poi, qui è convocato ovunque, tra alvei e alveoli, ferite trasparenti, cliniche ematologiche, iventari, sciarade e creature d quest’immenso, spesso atroce Giardino delle Delizie, che resta oramai la Fede. Fede radicata in se stessa, eppure anche persa, negletta, del giardino o paradiso perduto della sua origine, in un labirinto delle Beatitudini che è ansioso e difficile, arduo e ormai sogno ritrovare – perfino riaccettare:

 

beate le formiche ingenue dietro i chicchi,

nell’abbondanza di un granaio immenso …

 

Questa forse l’emozione massima. Ritrovare in purgatorio d’eterni viventi e anime in pena, noi stessi, tutti i nostri cari, ma anche i grandi nomi e miti o eroi della Storia e dell’Arte – Orfeo, Euridice, tutti i figli d’Abramo, il povero oscuro poeta curdo ma anche gli altri Senza Patria, o i paria, e i pastori, e soprattutto quel Fratello Perduto che le si fa a ogni svolta nome e segno di cielo, croce dei venti, crocicchio in terra, pena conoscitiva, dono del dolore che muta in seme di gioia:

 

Il tuo perenne, immobile dormire,

Senza più che la morte che ti avanza.

 

Gli “Ultimi sonetti” tornano anche i primi… Pace e Mattino, Inverno e Pagina Bianca… Maxima culpaE supplico la beata e sempre Vergine Maria

Se Alda Merini – l’ultima vera, come già abbiamo scritto, Usignola della Chiesa Cattolica – s’era volentieri assomigliata a una Sibilla (Cumana, Egiziaca…), michelangiolesca e modernissima… qui Rosafrancesca parla in qualità di Madonna Sistina, teatralizzandosi in prima persona, monologando tutta la sua ansia ritrosa (“Scontrosa io, ritrosa / Tutta chiusa in me stessa io”), il suo Credo che è insieme ansia e desiderio, chiamata dall’Umano al Cielo o forse viceversa…

 

Madre, figlia e sposa

Del Figlio dell’Uomo

Il Tremendo trionfante

Io, figlia di donna,

Donna.

 

Accade alla poesia di diventare allora (e lo capì Goethe, ne evocò acquatile, terracqueo, quello Spirito immenso!) lo stesso Deus Absconditus, un “Dio d’acqua”, un…

 

Tu nell’acqua, le nebbie

Con un Dio nascosto che esplode

In mille, mille soli

Io qua nella luce…

 

Poesia – noi stessi – che è – siamo ormai – solo tavolozza e cuore, colore e fondale, ansia e aria di cielo, bruma d’iperuranio, oro dello sfondo e silenzose parole d’anima che però vanno dette, pensate, pronunciate, iterate, mai più e solo sottaciute… Rimate, sì, salmodiate, cantilenate ovunque, “haiku del corpo” e prima, “Ultima preghiera”:

 

Fammi la mente lieve

                                        e così sia.

 

Con stima e affetto,

 

                                                           Plinio Perilli                           

 

 

 

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