LE SANGUIGNE PARTITURE VERDIANE

Con una virata che non potevo immaginare, ecco che da una settimana sto riascoltando con appassionata concentrazione la musica di Giuseppe Verdi. Parlo di virata in quanto, improvvisamente, l’esprit de geometrie di J.S. Bach (nel quale mi sono totalmente immerso quest’anno) ha ceduto il passo, dentro di me, all’assaporamento profondo delle sanguigne partiture verdiane, riferendomi nello specifico alle tre grandi opere della cosiddetta “trilogia romantica”, più la grande Messa da Requiem. Ebbene, riascoltando il RIGOLETTO e la TRAVIATA in questi giorni, una volta di più ho preso coscienza della implacabile forza drammatica (“direzionale” com’è stato detto) che anima tali opere, davvero gigantesche: RIGOLETTO per la perfetta risoluzione in musica del conflitto che anima il buffone di corte “esternamente difforme e ridicolo, e internamente appassionato e pieno d’amore”; TRAVIATA per l’inaudita caratterizzazione contemporanea, “borghese” del dramma di una mantenuta, Violetta, che conosce finalmente il vero amore ma destinata a morte da un male implacabile. Le mie riserve si focalizzano a questo punto sul terzo anello della succitata trilogia, ossia il TROVATORE. Nel senso che non mi trovo d’accordo con chi ne sostiene la perfezione nonostante la deprecata assurdità del libretto di Cammarano; poiché di fatto, a parer mio, la discutibilità di esso (con ambientazione della vicenda nella Spagna del XV secolo) assieme alla struttura dell’opera a forme chiuse (arie, “ensemble” e finali) non consente al pur ispiratissimo Verdi di quegli anni di toccare le altezze dei precedenti lavori qui citati. Troppo grandi insomma le conquiste verdiane nei termini di unità drammatica attuate in RIGOLETTO e TRAVIATA -dovute non secondariamente alla felicità dei rispettivi libretti mutuati da Hugo e Dumas figlio- per non risentire, esse, secondo me, dei limiti appena ricordati del soggetto del TROVATORE, così come il Maestro si è trovato a musicarlo. Certo, vi sono anche nel TROVATORE momenti alti; ma appunto momenti, senza la coerenza di un compiuto dramma musicale in cui si rispecchiano invece RIGOLETTO e TRAVIATA; ben al di là, ormai, detti lavori, del melodramma fin lì staticamente inteso. Una riprova (con tutte le approssimazioni del caso non essendo io un musicologo) di queste mie osservazioni consiste forse in ciò: non per pochi (e io sono fra loro), i suoi vertici musicali Verdi li ha raggiunti confrontandosi con un testo liturgico “alto” e di grande spessore come quello della Messa da Requiem, da me riascoltata con profondissima emozione nei giorni passati.

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