A duecentosessantacinque anni dalla nascita di W.A.Mozart

Come sempre, la Giornata della Memoria implica una doverosa e seria riflessione che riguarda tutti gli uomini di buona volontà. E, ancora una volta, mi permetto di ricordare che il 27 gennaio del 1756, dunque 265 anni fa, nasceva a Salisburgo W.A.Mozart. Sicchè ripropongo il mio scritto pubblicato sul numero 63 della rivista letteraria “I Fiori del Male” (gennaio-aprile 2016):

 

LA MUSICA DI MOZART E IL DOVERE UMANO-ARTISTICO DEL “VIAGGIO”

 

Da un decennio esatto, nel Giorno della Memoria per le vittime dell’Olocausto che cade il 27 di gennaio, non mancano davvero a chi scrive motivi di composita riflessione; in quanto proprio in tal giorno a Salisburgo, nel 1756, vede la luce Wolfgang Amadeus Mozart. Quale amante appassionato della sua musica, eccomi quindi a ricordare che il 27 gennaio 2016 ricorrono i 260 anni dalla nascita del compositore austriaco. Fuor d’ogni retorica, la musica di Mozart è parte precipua del patrimonio di bellezza in dote all’umanità; e sarà il caso di citare subito un mirabile passo del grande musicologo Fedele D’Amico estrapolato dall’ ENCICLOPEDIA EUROPEA (Garzanti, 1978) per focalizzare al meglio ciò: “L’essenza di Mozart è nel mistero di un genio capace di sposare qualsiasi assunto, dal più serio al più futile, con una partecipazione totale, e di guardarlo, nell’atto stesso di viverlo, da un’altezza angelica. E ancora, di lasciarli intravedere tutti nelle occasioni più diverse, in un’ambiguità perpetua. Per questo egli sfugge a qualsiasi definizione unilaterale, raggiungibile com’è, contemporaneamente, da cento punti di vista. La sua musica si può ascoltare come melodia spontanea, puro sgorgare di canto immediato, oppure come prodotto completamente elaborato, artistico: come fenomeno popolare, allo stesso titolo che come prodotto di raffinatezza suprema. Mille inflessioni di carattere contrappuntistico si nascondono sotto le sue apparenti monodie accompagnate, una scrittura sinfonica, ancorché perfettamente trasparente, è sottesa all’aperto vocalismo delle sue opere liriche: e verità e finzione, burla e lirismo, comico e tragico si danno come due volti della stessa realtà”. “Classico dei classici”, viene in sostanza inteso Mozart da Fedele D’Amico nel suo prezioso contributo critico all’interno della suindicata ENCICLOPEDIA; e subito mi viene in mente, con palmare evidenza, del compositore, la celebre sinfonia in sol minore K550 del 1788, laddove viene forse toccata l’acme di quell’equilibrio fra purezza di stile e urgenza della comunicazione che rende per questo Mozart un maestro impareggiabile fra i grandi della musica d’ogni tempo. Augurandomi per il lettore -in virtù delle considerazioni fin qui svolte- d’essermi immerso in medias res riguardo alle ragioni profonde della passione per la musica mozartiana e prima di un mio personale e assai ristretto “catalogo” delle vette musicali del compositore, mi piacerà ora avvicinarmi all’uomo, che in vita fu ad un tempo ilare e malinconico, enfant prodige e padre di famiglia sempre più disperato per i debiti che lo opprimevano; per poi morire anzitempo a Vienna il 5 dicembre 1791 (con la salma gettata com’è noto in una fossa comune). La lettura dell’epistolario del grande Salisburghese (W.A.Mozart, LETTERE, introd. di Enzo Siciliano; Ugo Guanda Editore in Parma, 2006) amplifica debitamente quell’immagine unidimensionale -scimmiesca perfino- del musicista, divulgata dal pur encomiabile e celebre film AMADEUS di Milos Forman (1984). Così, infatti, in una famosa lettera di Wolfgang al padre Leopold malato (da Vienna, 4 aprile 1787): “ Poiché la morte (a ben guardare) è l’ultimo, vero fine della nostra vita, da qualche anno sono entrato in tanta familiarità con quest’amica sincera e carissima dell’uomo, che la sua immagine non solo non ha per me più nulla di terrificante, ma mi pare addirittura molto tranquillizzante e confortante! E ringrazio il buon Dio di avermi concesso la fortuna di avere la possibilità (Lei mi capisce) di riconoscere in essa la chiave della nostra vera felicità. Non vado mai a letto senza pensare che (per quanto giovane io sia) l’indomani non ci sarò più. Eppure nessuno fra tutti coloro che mi conoscono potrà dire che in compagnia io sia triste o di cattivo umore. E di questa fortuna ringrazio ogni giorno il mio Creatore e l’auguro di tutto cuore a ognuno dei miei simili…”. L’anno di tale lettera, il 1787, è quello della morte del padre di Wolfgang; e, specialmente dal punto di vista artistico, della “prima” praghese, al Nationaltheater, del DON GIOVANNI ( e mi piace ricordare che tale opera era una di quelle tre “cose” sommamente amate da Gustave Flaubert, assieme all’HAMLET di Shakespeare e al mare). Ora, a parte la reputazione altissima di cui Mozart godeva a Praga, è giusto chiedersi le ragioni della mancata “prima” viennese di un capolavoro operistico come DON GIOVANNI , considerando anche il fatto che nell’anno precedente, il 1786, Mozart aveva potuto offrire all’Imperatore Giuseppe II la messa in scena delle NOZZE DI FIGARO. La risposta è complessa, e mi correrà qui l’obbligo di una estrema concisione per motivi di spazio. In realtà, il successo viennese delle geniali NOZZE  fu a conti fatti contrastato, e le repliche non in numero adeguato alle aspettative del musicista (vedi il forzato apprezzamento della critica ufficiale, ovvia emanazione della Corte Asburgica; eccezion fatta per il  privato entusiasmo dei non pochi, aristocratici estimatori di Mozart). In effetti, per dirne una, con opportuno senso storico, la celebre cavatina “Se vuol ballare, signor Contino” -all’interno del Primo Atto delle NOZZE– intrisa di collera repressa di un subordinato (Figaro) verso il padrone, come avrebbe potuto entusiasmare Giuseppe II a tre anni dalla Presa della Bastiglia? non era forse l’Imperatore il fratello di quella Maria Antonietta che sarebbe finita poi sulla ghigliottina? già dal 1785 Mozart del resto aveva intrapreso una via artisticamente impervia per il sofisticato ma conformistico orecchio dei viennesi, volendo alludere all’inaudito (per quei tempi) primo movimento del Concerto per pianoforte e orchestra in re minore K466, fortemente drammatico e “preromantico”. E qui il mio amore per la musica di Mozart si fa nel contempo tenerezza grande per l’uomo. Un uomo già sposato e con figli, che aveva avuto fino a quel fatidico 1785 grande successo a Vienna guarda caso coi brillanti concerti per pianoforte e orchestra “in stile di conversazione” (espressione dovuta al grande musicologo Massimo Mila); quei concerti che “ sono proprio una via di mezzo tra il troppo difficile e il troppo facile” (da Wolfgang al padre, 28 dicembre 1782; in LETTEREop.cit.). Un uomo, Wolfgang, dalle origini modeste nonostante il suo sentire elevato, il suo poliglottismo, la squisita educazione musicale (ricevuta dal padre) nonché la sua genialità di compositore. Ebbene quest’uomo, Wolfgang Amadeus Mozart -dopo aver voltato per sempre le spalle come “dipendente” al dispotico Arcivescovo di Salisburgo (ed essersi  di conseguenza beccato un calcio nel sedere dal suo factotum conte Argo)- cerca (consapevole del valore superiore della propria musica) il successo quotidiano e durevole coi proventi del suo lavoro di musicista in tempi tuttavia non maturi per ciò (occorrerà infatti aspettare la generazione successiva, quella di Beethoven, per tale ascesa sociale del “musico”, così come limpidamente si legge in un importante saggio di Nobert Elias, MOZARTSociologia di un genio, Bologna, Il Mulino, 1991). Ma ecco, come sopra accennato, il ristretto “catalogo” (virgolettato, pensando alla celebre Aria di Leporello dal DON GIOVANNI) delle partiture a parer mio supreme del grande compositore:

1) mottetto AVE VERUM CORPUS K618: tre minuti di musica sacra davvero celestiale e universalmente conosciuto; scritto nel 1791, anno della morte del Maestro (vertice dell’ultima sua “maniera” di rarefatta purezza e apparente semplicità);

2) dramma giocoso in due atti DON GIOVANNI K527: vetta di tutto il repertorio operistico non soltanto mozartiano secondo molti, fra cui Goethe; tre ore di musica tenebrosa in cui il Salisburghese realizza, su libretto di Lorenzo Da Ponte, “una pienezza di vita veramente shakespeariana”, per dirla in sintesi col già citato Massimo Mila;

3) sinfonia n.40, K550: chi non conosce questa altissima, tagliente e da me già ricordata sinfonia? Il suo primo movimento, banalmente frainteso e volgarizzato dal “frullatore mediatico” odierno, si complica in realtà ben presto all’ascolto in una trama concisa di cupezze e inquietudini (sommo interprete di essa, Bruno Walter);

4) divertimento per archi “GRAN TRIO” K563: per il principe degli studiosi di Mozart, Alfred Einstein (cugino di Albert) e sistematore del catalogo Köchel -con riferimento al famoso “K” che precede il numero d’opus delle partiture mozartiane- “Il Trio più bello e più perfetto che sia mai stato scritto”;

5) quintetto per clarinetto “STADLER-QUINTET” K581: indimenticabile per intimità espressiva e meraviglioso impasto degli strumenti, fra i quali spicca senza eccessi il clarinetto: strumento al quale Mozart dedicherà il poeticissimo Concerto K622, nell’ottobre del 1791.

Già mi pare di sentire le proteste degli appassionati della musica mozartiana al cospetto di tanto ben di Dio sacrificato (“e IL FLAUTO MAGICO? e il REQUIEM?…”; laddove in quest’ultimo in effetti dà i brividi il sommesso ostinato a doppio coro “Salva me, fons pietatis” che conclude il Rex tremendae)…tuttavia, per motivi di spazio e con una punta di presunzione da parte mia ecco che, da ascoltatore non inesperto della musica del Maestro, prendendo in esame alcune forme musicali tramite le quali si è espresso, mi sono sentito di indicare nelle suddette partiture le punte d’eccellenza da lui raggiunte. Avviandomi alla conclusione del presente scritto, non esiterò ad affermare che l’ascolto della musica di Mozart è per me fondamentale allo scopo di avere sempre ben chiaro nella mente il dovere umano-artistico del viaggio atto a dischiudere plaghe inesplorate dell’interiorità; alludendo soprattutto (e in ottima compagnia!) al DON GIOVANNI, in cui il “divin fanciullo” scopre in presa diretta l’abisso della morte non rinunziando al burlesco (si pensi ai tremendi “affondi” dell’ouverture, gli stessi che annunzieranno verso la conclusione dell’opera al protagonista la propria fine, in seguito all’apparizione del Convitato di Pietra). Non senza aver rammentato la lettura irresistibilmente tendenziosa ma illuminante di tale capolavoro mozartiano da parte di Pierre-Jean Jouve (1942), mi piace suggellare questo scritto attraverso la toccante osservazione di S.Kierkegaard, che del DON GIOVANNI fu appassionato e lucidissimo cultore, al punto di farne un fondamentale assunto per lo sviluppo del proprio pensiero estetico; riferendomi naturalmente ad ENTEN-ELLER del 1843, da cui son tratte le seguenti parole grazie alle quali prendo congedo dal lettore (in S.Kierkegaard, Don GiovanniLa musica di Mozart e l’eros; introd.di Remo Cantoni, Milano, Mondadori, 1988): “Mozart immortale! A te devo tutto, è per te che ho perso il senno, che il mio spirito è stato colpito da meraviglia ed è stato scosso nelle sue profondità”.

 

Andrea Mariotti

 

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