Su “Due vite” di Emanuele Trevi

Ho appena finito di leggere il libro “Due vite” di Emanuele Trevi, vincitore del premio Strega di quest’ anno. Devo dire di averlo apprezzato molto, nella sua concisa intensità. Un libro scritto “da dentro”, se posso esprimermi così; nel senso che l’ esistenza dell’autore è stata profondamente segnata dall’ amicizia con Pia Pera e Rocco Carbone (venuti rispettivamente a mancare nel 2016 e nel 2008), protagonisti e dedicatari del romanzo. Le cui pagine mi sono sembrate come il trionfo dell’ attrito dinamico su quello statico, procedendo nella lettura di esse; fino alla levità assoluta di quelle finali, laddove si percepisce la consapevolezza di Trevi di avere onorato il suo debito di scrittore capace di opporsi, con la forza della memoria, alla polvere del tempo che tutto logora e nullifica. Così che taluni periodi della parte iniziale del libro, appesantiti da un citazionismo in stile “teoria della letteratura” (e dunque a parer mio non debitamente integrati nel flusso narrativo), volentieri si perdonano all’autore inoltrandosi, come dicevo sopra, nella narrazione. Giacché poi, a conti fatti, il lettore attraversa una serie di bellissime e inaspettate metafore, ovvero i presagi della morte di Pia e Rocco, espresse con tocco limpido e lieve, animate da quello che chiamerei il nichilismo discreto di Trevi, che qua e là affiora evidente nei controllati incisi del narratore.
Andrea Mariotti

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