LA “VITA IN VERSI” DI GIOVANNI GIUDICI

Parecchio, com’era doveroso, mi sono concentrato nella lettura di “Tutte le poesie” di Giovanni Giudici (Oscar Moderni Mondadori Baobab, con introduzione di Maurizio Cucchi); a ciò spinto da una superficiale mia conoscenza, lo riconosco, dell’opera di questo nostro importante poeta del secondo Novecento. Ora con sguardo sintetico, a lettura ultimata del libro imponente qui in foto, dirò senza esitare che per me il meglio di Giudici consiste nella silloge d’esordio del 1965, e cioè “LA VITA IN VERSI”. Di un esordio davvero notevole credo sia in effetti il caso di parlare, considerando l’importanza letteraria di quel 1965: per l’uscita dell’antologia Einaudi “I NOVISSIMI” (Gruppo ’63); nonché, e non secondariamente, della raccolta più significativa di Vittorio Sereni “GLI STRUMENTI UMANI”; senza tacere ovviamente del libro di vera e propria svolta poetica di Giorgio Caproni, il celebre “CONGEDO DEL VIAGGIATORE CERIMONIOSO”. Ma perché si è parlato di un esordio notevole a proposito di Giovanni Giudici considerando le succitate altre pubblicazioni? per l’irruzione inaudita di un particolare “canto basso” e prosastico a caratterizzare questo stesso esordio; canto peraltro di elevata, spiazzante leggibilità; privo degli improvvisi e laceranti slanci di Sereni come del carico simbolico-metafisico già evidente nel caproniano e pur limpido “CONGEDO”; e distante anni luce, in ultimo, dallo sperimentalismo neoavanguardistico totalmente ignorato da Giudici, poeta senza “oltraggi” formali. Ma capace di un ritmo, Giudici, com’è stato detto, di grande abilità artigianale, in grado di mettere in scena quel suo “sosia” mediocre e fariseo (termine dovuto a Giovanni Raboni) che fa pensare, quale effettivo antieroe, allo sveviano Zeno (secondo Alfonso Berardinelli che molto ha scritto sul Nostro). Naturalmente, non si dovrà pensare a un registro uniforme e totalizzante in chiave comico-bassa a proposito della “VITA IN VERSI”; giacché questa silloge, davvero nata adulta dal cervello di Giove, è arricchita da un limpido torrente di  lucidità intellettuale che scorre nelle sue vene; dal profetico spessore, tale da irrobustire non poco il discorso poetico: ” Ma che si viva o si muoia è indifferente,/ se private persone senza storia/ siamo, lettori di giornali, spettatori/ televisivi, utenti di servizi:/ dovremmo essere in molti, sbagliare in molti,/ in compagnia di molti sommare i nostri vizi,/ non questa grigia innocenza che inermi ci tiene…”; volendo qui citare una strofe del breve poemetto forse più famoso della “VITA IN VERSI”, e cioè “Una sera come tante”. I libri seguenti di Giovanni Giudici, poeta molto colto e con risorse tecniche sempre più ragguardevoli, risentiranno però di un malcelato fastidio dell’autore nei riguardi della sua collocazione critica: focalizzata sull’idea di un poeta non “poetico”, prosastico per eccellenza, in qualche modo crepuscolare e rimandante a Gozzano secondo Franco Fortini. Così che il far poesia di Giudici a questo punto si complica a parer mio, nel momento stesso in cui non mancano di certo i momenti di autentica e straziata grazia: “Perché con occhi chiusi?/ Perché con bocca che non parla?/ Voglio guardarti, voglio nominarti./ Voglio fissarti e toccarti:/ Mio sentirmi che ti parlo,/ Mio vedermi che ti vedo./ Dirti –sei questa cosa hai questo nome./ Al canto che tace non credo./ Così in me ti distruggo./ Non sarò, tu sarai:/ Ti inseguo e ti sfuggo,/ Bella vita che te ne vai.” (dalla silloge “IL MALE DEI CREDITORI”, 1977). Ma proprio da questa aerea introspezione lontana ormai dai calmi fiumi prosastici dei libri precedenti prende in effetti le mosse la mia rispettosa riserva critica verso un autore, Giovanni Giudici, ormai accettato in pieno (anni Settanta-Ottanta) nel novero dei grandi del secondo Novecento, senza però avere il nostro poeta più molto di nuovo da dire, per quanto ho letto: risultando a conti fatti sempre più sapientemente ripiegato su sé stesso, per compiaciuta malinconia sfociante nella palmare evidenza di un titolo come: ”QUANTO SPERA DI CAMPARE GIOVANNI”, riferendomi alla raccolta poetica del 1993 edita da Garzanti. Intendiamoci: lucidità intellettuale e profondità del sentire mai vengono meno in raccolte come “LUME DEI TUOI MISTERI” (1984), “SALUTZ” (1986), “PROVE DEL TEATRO” (1989), ”FORTEZZA” (1990), “EMPIE STELLE” (1996) ed “ERESIA DELLA SERA”(1999); ma a fronte di vistose e quasi disturbate oscillazioni formali e improvvisi grovigli che in qualche modo acuiscono il senso di quella crescente afonia della semantica cui sopra ho fatto cenno. Mi piace però concludere il presente scritto citando almeno le prime due quartine di una poesia come “La vita imperfetta” da “EMPIE STELLE”, laddove Giudici davvero mi è sembrato ritrovare la voce autentica del suo memorabile esordio, quella voce limpida e profonda e fedele quindi al suo nativo, alto grado di leggibilità in termini di calviniana leggerezza:

 

Nell’assennata giovinezza

Avessi avuto più coraggio

I miei pensieri alzati in volo

Nell’aprile di una brezza

Per tutto il me che non ho osato

Qui non sarei contrito e solo

…..

I mari che non ho varcato

Da neri nodi irresoluto

Ingenua preda di malizia

Soltanto avessi appena amato

Aerei corpi di letizia

E non tremato e non temuto…”

 

Andrea Mariotti

 

I

2 commenti su “LA “VITA IN VERSI” DI GIOVANNI GIUDICI

  1. Fiorella D’Ambrosio

    Dopo aver letto con interesse -Andrea-la tua ampia ed articolata analisi sulla poesia di Giovanni Giudici,ho dedicato un po’ del mio tempo alla rilettura di alcune liriche del poeta suddetto, soffermandomi in particolare su “Una sera come tante”, tratta da “La vita in versi”, una delle maggiori raccolte in cui si rivela -come qualche critico ha sottolineato-la vena neo-crepuscolare, antinovecentesca e pseudomontaliana del poeta ligure. Un caro saluto.

  2. andreamariotti Autore articolo

    Sottolineature, quelle cui ti riferisci, Fiorella, distratte e ingenerose verso un poeta il cui esordio è stato invece notevole come ho scritto, del resto suffragato da voci ben più autorevoli della mia, e da nominare senz’altro: Giulio Ferroni, Maurizio Cucchi, Alfonso Berardinelli, Giovanni Raboni, per tacer di tanti altri. Un caro saluto

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