MUSEO DELL’UOMO

Inoltrandomi nella lettura del “Museo dell’Uomo” di Plinio Perilli (poesie e poemetti 1994-2020, con una nota di Giulio Ferroni, Zona Editore 2020), confesserò di essermi parecchio commosso nel rileggere la poesia dedicata a Donatella Colasanti e intitolata “Dall’Ade alla luce”; a cinquant’anni, ormai, dal massacro del Circeo, pagina orribile del Belpaese e, ahimè, come luciferina luce che, dal passato, illumina lividamente quanto oggi accade quotidianamente per tutto lo Stivale. La vicenda di Donatella è troppo nota per essere rievocata. Se, come mi ha ricordato l’illustre studioso nonché poeta Antonio Prete in una conversazione di due anni fa, uno dei massimi uffici della poesia consiste proprio nella pietà per i corpi, ecco che allora soprattutto la quinta strofe della poesia in oggetto tocca a parer mio un vertice di sensibilissima compassione:

“Poi chiuse in macchina nei sacconi/neri dell’immondezza, scarti della Storia…/Ma una non era morta –forse andò/oltre, commosse le ombre, e fu mandata/ indietro. Quando si riebbe e vagamente/ capì, lì dentro il bagagliaio strepitò, bussò,/ riuscì a farsi accorgere, la sorte le aprì…/ Quello sguardo dall’Ade alla luce, dalla/ lamiera al mondo, fece epoca, incise/ a fuoco, a sangue l’Immaginario- RESTA”. La conoscenza diretta che Plinio Perilli ha avuto della Colasanti, quale lodevole curatore delle poesie di un animo dolente fino alla morte, avvenuta nel 2005, è nota, e molto ci dice circa il sentimento “en plein air” di un poeta e critico militante nel senso più libero del termine. Concluderò questa breve nota ricordando una pagina dalle “Lettere luterane”, opera postuma e indimenticabile di Pier Paolo Pasolini; laddove il grande scrittore polemizza con il fraterno amico Moravia, contestando al romanziere di guardare al massacro del Circeo da lontano, riducendo a fatto letterario, nella fattispecie il racconto “Delitto al circolo del tennis “ del 1927, quanto a Pasolini sembrava più doveroso osservare scendendo dall’eburnea torre dei letterati; e cioè con gli occhi dell’ antropologo, del sociologo, in obbedienza al proteiforme talento di un poeta che, di lì a poco, avrebbe pagato con la vita lo stare in mezzo alle cose, armato della sua “denuncia disperata e inutile”.

Andrea Mariotti

 

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