La poesia di Andrea Mariotti
nella silloge
Il flauto di Pan unito al vento
C’è un araldo della poesia nei giorni bui del nostro secolo violento ed è Andrea Mariotti, che se ne fa portavoce, mentre valica montagne e valli, eterno viandante in mezzo alla natura, in un continuo peregrinare alla ricerca della parola poetica che ridisegni il mondo. Egli è attento come pochi alla musica, capace di captarne e seguirne il sentiero, in un paesaggio che gli si offra solitario per essere penetrato in profondità. Già nella raccolta La tempra dell’autunno si era evidenziato tutto ciò, unitamente ad una forte componente etica che sosteneva il dettato poetico, dirigendolo verso l’aspirazione ad un riequilibrio dei valori morali e alla rinascita di un’umanità più consapevole del suo ruolo e delle sue responsabilità sul pianeta.
In questa nuova raccolta, che sin dal titolo (Il flauto di Pan unito al vento) si annuncia foriera di nuovi percorsi musicali, intrecciati a nuovi contesti reali, il poeta si sente investito di un ruolo civile intenso, che lo vede in prima linea, contrapporsi all’odio, alle guerre, alle ingiustizie, alle prepotenze, ai disastri ecologici. L’indice del libro segnala i titoli delle sezioni che compongono un cammino individuale e collettivo, come suggerisce l’ottima prefatrice, articolato in parti della silloge, diverse ma sempre derivanti da un’osservazione della realtà circostante e soprattutto dal vissuto personale. La poesia di Mariotti non è mai astratta, non si abbandona a voli pindarici, non cerca un banale lirismo, né mai sfocia in patetici sentimentalismi. Mantiene invece un vigile e fermo controllo dell’esperienza umana e si avvolge intorno ad eventi spesso drammatici e irrazionali, che colpiscono le precarie forze dell’uomo e delle sue regole, di giustizia, libertà e democrazia. Così, nell’allusione all’assalto del congresso negli Stati Uniti, istigato da Trump; così nel ricordo della tragedia del Ponte Morandi e della funivia di Stresa – Mottarone; così in altri momenti trascorsi durante l’adolescenza e segnati da ricordi epocali, come la guerra del Vietnam, l’uccisione di Martin Luther King e Robert Kennedy e la carezza di Papa Giovanni mandata in dono ai bambini nella notte dell’undici ottobre 1962. Sono testimonianze rimaste custodite nel cuore del poeta fanciullo, conservate fino ad oggi e affidate alla poesia.
Per sua consuetudine di scrittura Mariotti si affida al metro e al ritmo: lo vediamo nei Cinque Distici, ognuno dei quali, in due soli versi sembra voler stigmatizzare, quasi aforisticamente, una verità acquisita, una formula morale che spieghi ciò che sta accadendo. (La neve come sempre è lo stupore/tutto tace nel regno del candore), ma è l’ottava rima quella preferita dal poeta. Tutto il suo sistema ritmico si costituisce attraverso assonanze e consonanze, improvvise rime con graduati toni e semitoni, con un’ampia scelta di versi settenari e ottonari, endecasillabi e novenari, senza esclusione alcuna, in una composizione musicale di suoni e parole, che spesso si adatta alla musica della natura. Non a caso Mariotti ha pensato al flauto di Pan unito al vento, avendo di persona esperimentato, durante le sue solitarie escursioni in montagna o nei boschi, il prodigio del vento che si insinua in ogni foro o pertugio, o anfratto, creando e modulando la sua musica. Questo si avverte molto di più nella precedente raccolta La tempra dell’autunno, anche perché lì egli gioca sul tempo, oltre che sullo spazio, e scandisce la presenza della natura in una scala di intonazioni e prove di voce. In questa raccolta, però, la cifra musicale non compare mai da sola, ma sempre associata ad un tema fortemente sentito e legato a cose e persone, oserei dire un tema civile e sociale.
Mariotti è un uomo gentile, sensibile, amante della bellezza e di due arti indissolubilmente legate, poesia e musica, (non di meno della pittura), un solitario cantore che comunica con il mondo circostante, con la mitezza del suo animo, che gli consente di andare incontro agli altri. Questo suo carattere, tuttavia, non lo conduce a comporre poesie di puro lirismo, o di assoluto abbandono sentimentale, perché obiettivo prioritario del poeta è la razionalità e l’eticità della sua composizione, ovvero il magistero che la sua parola poetica vorrebbe compiere e lo sforzo enorme di realizzarlo. Lo soccorrono le due corde costanti della sua poesia, la musica e il grande amore per la natura, il cui libro Mariotti sa leggere senza vantarsene e di cui sa cogliere, se non il mistero, la voce. Ecco quindi materializzarsi la voce di Pan e quella del vento, in un gioco di ritmi, di rime, di distici, di ottave. Si leggano alcuni passi a mo’ di esempio:
Viene febbraio, e torva primavera
avvolge lo Stivale; la minaccia
di un climatico caos qui s’invera,
come non è mai stato prima; traccia
d’inverno non esiste, di bufera
sugli alti monti; ovunque la bonaccia…
dal Frecciarossa ho visto i sitibondi
campi padani, tristemente biondi
(dal Diario del 2022)
Questo bearsi della solitudine
è l’altra faccia dell’amaritudine
(da Cinque distici)
Siamo zebre sbiadite sull’asfalto
e stragi di pedoni denunciamo.
Moda e Morte si dicono entusiaste
dei barbari che centrano il bersaglio
(da Caput Mundi in Bestiario)
Certo non è semplice né facile seguire il percorso mariottiano, possiamo solo percepire la sua emozione, avvertire i suoi intenti e prendere coscienza della misura della sua poesia, nella quale persino l’ironia si stempera e diviene sottile motivo di difesa, quasi apologetico, dei valori umani da salvare.
Giova rivedere e considerare la struttura del libro, cercando di capire come sia stata fatta la sistemazione editoriale di queste poesie che, anche se scritte in occasioni varie e in differenti momenti, hanno finito per delineare un itinerario preciso, di memoria, di cronache di eventi, di riflessioni sulla nuova umanità dei nostri giorni, di drammi contemporanei e del passato, in sostanza un itinerario di vita nostra e del nostro paese. Lungo questo itinerario sono numerosi gli episodi drammatici, basta leggere il titolo della prima sezione Annus Horribilis, con il suo incipit che ricorda l’assassinio del giovane Willy, un dolore atroce senza spiegazione, se non la barbarie dell’animo umano. Quindi si imbocca il sentiero della pandemia e dell’attacco del virus che portò alla claustrofilia, e si palesano, una dopo l’altra, composizioni colme di constatazioni dolorose, su cui spesso campeggia “la Grande Mietitrice”, la morte, vista come trionfante sulle tragedie dell’uomo. Poi, dopo la pausa dei distici, che sembrano distendere l’animo, in una velata rassegnazione, le due ultime sezioni di Diario del 2022 e Bestiario riconsegnano la poesia ad una razionalità accettata che rasserena il cuore affranto. Si legga Nel porto di Santa Marinella, ultima lirica dell’ultima sezione della raccolta, in cui si allude ad un lutto, ad una perdita, che non toglie però senso alla vita, perché con il dolore si può convivere e la poesia aiuta in questo. L’elemento più tenero della poesia è certamente quel parrocchetto iniziale, che vediamo chiuso nel pugno della mano, un piccolo esserino impaurito che ridimensiona la visione di tanti smisurati mali dell’esistenza, ed è in lui la capacità di accendere di speranza di chi soffre, di recargli un messaggio da parte della persona cara perduta.
Quel parrocchetto nel nido del tuo
pugno, fraterno amico, non voleva
volar via; impaurito e inappetente,
cosa frullava per il suo capino?
poi ciangottando forte, già da te
adottato, eccolo spiccare il volo…
di tua moglie nell’Erebo un messaggio
avevi ricevuto, questo subito
hai sentito: l’invito a riemergere
dal lutto mi è piaciuto immaginare!
ché lo vedo, riluci di bontà,
ed anche il parrocchetto se n’è accorto.
Non voglio farti santo, amico mio;
dico soltanto che possiedi un cuore
grande, e questo a riflettere mi spinge
sul senso della vita a conti fatti.
Il parrocchetto, piccolo e fragile, diviene elemento che ristabilisce un’armonia nel vivere, accettando la sofferenza e proseguendo nel vivere. Direi che l’universale assorbe il particolare e si ricompone l’equilibrio interrotto dalla perdita. Operazione che solo la poesia sa fare, che solo la parola poetica può interpetrare. Da segnalare l’efficace onomatopea del verbo ciangottando, adottato dal poeta in un impeto inventivo di creatività.
Ho riservato per ultima una breve riflessione sulla dedica premessa da Mariotti a questo libro; leggiamo “ai miei poeti” e comprendiamo, dopo aver analizzata tutta la raccolta non solo chi sono i suoi poeti, ma anche con chi egli dialoghi comunemente e continuamente nella sua quotidianità. Sono Dante, Leopardi, Manzoni, Caproni, i più amati e frequentati e non ultimo Pasolini al quale scioglie un cantico che è un vero compianto. Di essi il nostro poeta ha trattenuto molti modi e forme: il profondo e misterioso senso dell’essere, la dignità morale, il linguaggio chiaro e mai compiaciuto, la simbologia, legata alla concretezza della realtà (ciò specialmente assunto da Caproni). Sono tutti elementi che Mariotti ha acquisito e fatto propri, durante le sue letture interiori di questi amati compagni di viaggio, grazie alla sua prodigiosa memoria, lungamente esercitata nella sua vita.
Tali motivi, che trasalgono dal background culturale di Mariotti, vanno ad aggiungersi e a mescolarsi alla sua notevole cultura musicale (nella quale penso domini sovrano il genio di Mozart) e danno luogo a quel suo inconfondibile linguaggio, che persino durante un excursus ironico, non rinuncia al ritmo. Ne è una testimonianza “La poesia”, la prima lirica della sezione Bestiario.
Son convenuti in tanti all’obitorio,
tu chiamali se vuoi dottori egregi
di poesia: questo il loro tempio,
zecca di teoria, e qui tagliuzzano
con metodo l’Apollo irrigidito
sul tavolo, ebbri di modernità.
Borbottando fra loro con ieratici
conati che rafforzano l’aplomb
e carriere: Bellezza è peccatrice,
fuori moda; di rito in tono grigio
e il ghirigoro oggidì, per esistere
come poeti in aristocrazia.
Ostentano uno scaltro nichilismo
infine lor signori; con semantica
indistinta calpestano il lettore
sfortunato, supposto che ci sia.
Il testo è un esempio della misura linguistica adottata da Mariotti, una misura volutamente parca, minima, attinta dal quotidiano, ma bagnata nei ritmi e nelle cadenze che il poeta sa riprodurre con grande perizia da musicologo.
ANNA MARIA VANALESTI