Con piacere qui propongo, con viva gratitudine, lo scritto suddetto di Elisabetta Pamela Petrolati relativa alla mia silloge. Tale scritto è apparso (da pag.33) sulla Rivista di Cultura & Società “AGIRE sociale news”, diretta da Michele Petullà (Anno IV, n.IV; luglio-agosto 2025, a/m):
ANDREA MARIOTTI, “IL FLAUTO DI PAN UNITO AL VENTO”, MACABOR EDIZIONI, 2025 – Conosciamo l’autore attraverso un’intervista dedicata alla sua opera
È per palati sottili l’ultima raccolta di poesie di Andrea Mariotti, intitolata Il flauto di Pan unito al vento, Macabor edizioni, 2025, che gode dell’attenta prefazione di Anna Maria Curci.
In questo articolo si propone un’intervista realizzata con l’autore per offrire al lettore la sua voce diretta e per proporre non tanto una interpretazione critica dell’opera trattata, bensì la parola viva del poeta che condivide la sua interiorità. Chi meglio del poesta stesso può parlare di sé, del fervore della propria ispirazione, dell’evoluzione di scrittura quale scoperta interiore che si genera nel dipanarsi della propria storia personale e della realtà circostante?
Andrea Mariotti è nato e vive a Roma. Laureato in Lettere Moderne all’Università La Sapienza, con una tesi sullo Zibaldone di Giacomo Leopardi, poeta di cui è massimo esperto.
Ha pubblicato, pima di questa ultima opera, quattro raccolte di poesia, tutte premiate: Lungo il crinale, Bastogi Editrice italiana, 1988; Spento di sirena l’urlo, Ibiskos Editrice Risolo, 2007; Scolpire questa pace, edizioni Tracce, 2013 e La tempra dell’autunno, Bertoni Editore, 2020. Sue poesie sono apparse su varie riviste letterarie. È stato redattore, nel passato decennio, dei Fiori del Male, pubblicazione quadrimestrale di letteratura. Di grande significato letterario e spirituale per il poeta è la sua attività legata alla “lettura interiore” (ossia a memoria) di canti leopardiani e della Divina Commedia (disponibili anche su youtube). Questo suo esercizio di metabolizzazione interiore degli amati versi e di espressione verbale consentono agli ascoltatori di godere pienamente, in profondità e grande emozione la ricchezza straordinaria dei grandi poeti e in particolare del Sommo Poeta.
Senza anticipare troppo le rivelazioni che Andrea Mariotti di seguito darà, rispondendo alle domande, si può convenire con la prefatrice Anna Maria Curci che, come caratteristica generale della raccolta “la cura, l’esercizio, il rigore nell’espressione poetica si sposano con cura, esercizio e rigore – verso di sé ancor prima che nei confronti degli altri – nel serbare memoria, nel difendere dall’oblio, nel coltivare la fede nel bene comune”.
D – Come prima domanda chiediamo ad Andrea Mariotti il significato e le motivazioni della scelta del titolo della raccolta poetica che stiamo presentando, titolo originale e alquanto evocativo.
R – La scelta del titolo, suggerita da un verso del breve poemetto “Diario del 2022” incluso nella
raccolta, mi è sembrata significativa nel comunicare la volontà di pubblicare un libro di poesia civile (il “vento”), focalizzato sui tempi difficilissimi che stiamo vivendo; senza però rinunciare alla mia istintiva
inclinazione alla metrica della nostra grande tradizione (“Il flauto di Pan”); ossia la musica, la doratura artigianale di una poesia classicamente intesa e che per me tale deve rimanere a maggior ragione nel registrare l’urto crudo della Storia e della attualità.
D – Come nasce l’dea di questa raccolta e la sua singolare strutturazione interna? Quanto tempo ha impiegato per scriverla?
R – L’idea della raccolta è nata nell’autunno del 2020, in occasione del feroce assassinio di Willy Monteiro
Duarte, e sappiamo il peso paradigmatico della poesia incipitaria, in una silloge poetica guidata da coscienza letteraria: tale, in effetti e nel mio caso, da orientare fortemente il libro sul filo dell’indignazione, della passione civile (“Facit indignatio versum”, per dirla con Giovenale). In sostanza, profonda è stata la mia percezione, nel suddetto autunno, dell’apertura di un decennio oscuro, per non dire rovinoso, causa dirompente naturalmente lo scoppio della pandemia da corona-virus con il primo mestissimo e indimenticabile lockdown del marzo dello stesso anno, qui da noi in Italia. L’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa nel febbraio del 2022 non ha che confermato, in corso d’opera, la succitata mia percezione. Il libro ha visto la sua poesia conclusiva nel dicembre 2024, con il genocidio ancora in corso, purtroppo, nella Striscia di Gaza da parte di Israele, scatenato dall’attacco del 7 ottobre 2023 ad opera di Hamas. “Dulcis in fundo”, la rielezione di Trump negli Stati Uniti a novembre 2024, con la successiva rottura del Patto Atlantico in essere per ottant’anni. Insomma, e per non dilungarmi nella risposta, ho voluto un libro austero, molto coeso, sotto il segno di Marte e non di Venere, direi; frutto pertanto di autocensura implacabile, in quanto parecchie sono state le poesie da me accantonate in vista della pubblicazione.
Proprio per potermi rivolgere al lettore con una raccolta tutt’altro che occasionale, esile se vogliamo quantitativamente, ma con un disegno d’insieme ferreo ed evidente.
D – Rispetto alla precedente opera, intitolata “La tempra dell’autunno”
che differenze stilistiche, di intenzioni e di prospettiva possiamo
riscontrare rispetto al “Flauto di Pan unito al vento”?
R – Rispetto alla precedente silloge pubblicata nel 2020, e cioè “La tempra dell’autunno”, la novità credo più dirompente nel “Flauto” è senz’altro quella di un sentimento metrico -così definirei il mio istintivo far poesia in endecasillabi, settenari a altri metri della nostra grande tradizione atto a misurarsi e a fondersi con un contenuto antilirico per eccellenza.
D – La dedica iniziale “ai miei poeti” rivela una grande gratitudine nei
confronti dei grandi “maestri” della letteratura che hanno formato
l’Andrea Mariotti poeta. Un Andrea Mariotti forse completamente uscito dalla soggettività espressiva a favore di un poeta completamente intriso delle umane vicende e rivolto al sentire dell’altro.
R – Non posso che annuire circa la lettura critica di quest’ultima silloge espressa nella domanda. Ho voluto in effetti mettere un punto fermo nella mia esperienza di poeta, prendendo le distanze da me stesso e dunque dalla soggettività lirica; cercando di essere, secondo le mie forze, un testimone del tempo e, contemporaneamente, per la tensione etica veicolata dai versi, un “sognatore”; nel senso di voler alludere a un mondo migliore, così come dovrebbe essere, anziché così com’è, nella sua crescente disumanizzazione e brutalità.
D – Quanto è importante per lei l’utilizzo della metrica, di cui è maestro e che ben destreggia in tutti i testi di questa raccolta?
R – Nel rispondere a questa domanda, non posso che rimandare a quanto già detto, e cioè il sentire riconoscere dentro di me un vero e proprio “sentimento” metrico, in grado di illimpidire il dettato poetico; e, ovviamente, in tensione agonistica con il reale, sino a una fusione spero riuscita; vale a dire la “mia voce”, oso sempre sperare. Guai al poeta arcadico, sospiroso e autore di endecasillabi scolastici e asfittici, di quest’ultimi non avendo davvero bisogno il lettore, me ne rendo fin troppo conto! solo che questo stesso lettore va in ogni caso rispettato, giacché svariati poeti oggi hanno preso troppo alla lettera la raccomandazione montaliana di una poesia che vada verso la prosa senza però esser prosa. In tale “modernità” non ho mai creduto, reputando la poesia musica del pensiero, e al tempo stesso del cuore, in
senso tutt’altro che patetico-sentimentale.
D – All’interno della raccolta è presente un poemetto straordinario: vuole condividerne l’idea generatrice e spiegarne il percorso di significato?
R – Il breve poemetto al centro della raccolta “Diario del 2022”, è in effetti, la prova poetica più ardua da quando, ancora adolescente, tentai i miei primi versi. Con quel “dolore cosmico” che pesa come un macigno sui poeti che vogliano guardare al di là del proprio orticello, ecco che, il 24 febbraio 2022, giorno dell’invasione dell’Ucraina voluta da Putin, ebbi la visione di sterminati ossari, come del resto dice uno dei versi del testo. La guerra nel cuore dell’Europa, la fine traumatica di una globalizzazione ottusa per definizione, i primi corpi martoriati offerti in tivvù fra una pubblicità e l’altra! ebbene, avendo riletto nel 2021 il “Furioso”, perché non aggrapparsi –mi chiesi- in chiave tutt’altro che scolastica alla ottava narrativa, iniziando dalle grottesche quirinalizie con cui si era per l’appunto aperto il 2022? questo al dunque è il mio modo di rivivere i classici, rigenerandoli secondo le mie forze, al fine di testimoniare quanto accade (così intendo la modernità a prescindere da manifesti, gruppi poetici, scritture asettiche e ignare di qualsivogliaidea di bellezza). In ultimo vorrei ricordare che i tempi dell’Ariosto erano tutt’altro che pacifici (basti ricordare il Sacco di Roma del 1527)…ma il mio poemetto rende conto anche di una Natura sempre più infuriata verso di noi, del tutto indifferenti ai minacciosi cambiamenti climatici, con i giovani manifestanti dileggiati dagli “adulti” sprezzanti ed egoisti.
D – Quale pensa sia il valore della poesia attualmente? La sua funzione è cambiata rispetto al passato?
R – Il valore odierno della poesia, lo dico senza mezzi termini, mi appare sempre più irrilevante per il semplice fatto che tutti scrivono e pochi leggono, non ammettendo altro dio al di fuori del proprio ego poetico-umano, in tempi di vetrine virtuali che livellano impietosamente valori e disvalori. Sparite quasi del tutto le riviste letterarie cartacee, con case editrici di prestigio pronte a pubblicazioni risibili a caro prezzo, e qui mi fermo per decenza. Ma la poesia, quella autentica, sopravvive e rinasce naturalmente ogni volta che, foglio bianco e penna, un poeta si metta “per l’alto mare aperto”; nel silenzio operoso, con giusta ambizione ma senza vanità, fiducioso in un possibile granello di gloria post-mortem al posto di un facile successo a portata di mano. La digitalizzazione delle nostre vite ovviamente ci pone in una condizione che sempre più ci allontana dal duro esercizio della poesia. Vorrei ricordare che gli antichi intendevano per “talento” la sintesi di una “disposizione naturale” con lo studio approfondito, e questo la dice lunga sulle scorciatoie che tanto ci fanno comodo oggi. Investiamo in conclusione sui giovanissimi poeti, stimolandoli alla memorizzazione dei grandi testi poetici e alla lettura; nonché all’uso primario di penna e carta bianca, l’atto più libero degli umani, al riparo dalla corrosione del tempo.
D – Che riscontro sta avendo il libro nelle sue presentazioni al pubblico?
R – In attesa della seconda presentazione prevista per ottobre prossimo presso la Biblioteca Laurentina di Roma, ho registrato viva attenzione da parte del pubblico alla “prima” avvenuta l’8 giugno scorso. Conto soprattutto e nel frattempo su quello che Leopardi chiamava il “lettore sensibile e immaginoso”, e cioè il lettore ignoto, potenziale, che si imbatta magari nel mio libro disponibile da qualche tempo presso la succitata Biblioteca; potendo anche rivolgersi all’Editore per l’acquisto della silloge. In ultimo, ho preso atto dell’accoglienza ottima (già per iscritto) della raccolta da parte di poeti e studiosi che frequento e che mi
stimano, da me ricambiati.
D – Concludiamo con una domanda di rito: c’è già all’orizzonte una nuova raccolta, un nuovo progetto?
R – Per il momento, complice l’estate, sto ancora dentro il mio libro, contando sulla stagione da sempre per me più creativa, vale a dire il prossimo autunno. Do alla nuova poesia il tempo di maturare a mia insaputa, ricordandomi sempre della sua nobile gratuità, nel senso che nessuno mi obbliga a scrivere. Questo non toglie che, nel prossimo libro, se ci sarà, mi piacerebbe interrogare le ombre… altro davvero non so dire per il momento.
Ciò che ci determina, attraverso un dialogo, è insito nella tempra del proprio pensiero; il suo dichiararsi a tinte non fuggevoli, ma intense. L’intervista, pregevole nella duplicità della domanda e conseguente risposta, avvalora qui il senso dell’incedere verso l’individuazione di temi in rigorosa circolarità, detenendo primato il sincretismo tra l’uno e l’altro aspetto. In questa fusione, il flusso, stream of consciousness , sottende l’analisi di un testo poetico in cui la forma, attraverso le scelte metriche, si coniuga a paradigma della sua sostanza intrinseca, generativa di un Pantheon insaturo di figure retoriche. I settenari di Annus horribilis irrompono, lapidei alla memoria posta come lamina tagliente, germinazione di claustrofilia avversa alla primavera, violata da clamore. Del silenzio già morte.
In soffio gelido, le quattro lapidi sospendono la marmoreità degli accadimenti in sei versi: procedere per rastremate immagini, “cruda incuria del lupo in pandemia”. Sembra sedare la scissura il ricordo, vivido in “Infanzia e adolescenza”, se non emanasse bagliore oscuro il secolo, anni dispersi in voce afona, sgomento dell’animo. Sollevano il velo del profondo sentire “Cinque distici”, in cui “bearsi della solitudine è l’altra faccia dell’amaritudine”. Il profilo non concede grazia, né cela bifronte immagine di Giano: instaura ritmo con il musico afflato che perdura in diario, endecasillabi in ottava rima gravidi di catastrofe umana, A.D. 2022 . Il tempo non svela ferite se non gloriandosi della sua aura indomita, sì che gli eventi, dal poeta stigmatizzati, si ergono a visibilio di un bellicoso processo confluente nella neglitudine umana, il cui ultimo nesso, volto al lettore “nel lucore d’ottava rima”, richiama espediente dantesco a canone inverso, in assoluto stato di presenza; mai venir meno dei sensi, acuiti da vigile disamina.
“Ma ho con gaudio compiuto gli anni/ accanto alla Tomba di Dante, a marzo: suono/di campana sul far del vespro…incanto”…in Bestiario, ultimo respiro della silloge, non sembra placarsi il senso di disagio, acuito da pietas- talvolta- o sublimato in tragicità assoluta in Satnam, ove “il boato persistente/nel baco più ingegnoso della Rete”, è atterrito meme , giaciglio del transumanesimo. Il ” leopardiano giardino di pene” in Follage stempera la visione, tra spuntare di amanite e “una vipera languida” , ottobrina, quando i raggi solari, ancora tepidi, sembrano far parte di un mondo immacolato . E’ solo riverbero di un flautare di Pan nel vento, forse, in breve istante, mentre la com-passione arde, “se non ora/quando? non più impotenti spettatori…”.
Nell’indagare il dettaglio, Andrea Mariotti sconfigge l’assillante non detto; frantuma l’Apocalisse in verso esplicito, in cellula risvegliata e indomita, corpus, asimmetrico a ogni possibile variabile divina. Scopre del microcosmo il dettaglio polisemico, tale da indagare l’intero organismo biologico posto a Custode di un Tempo profanato da idolatria.
Con affetto e stima,
Marina Petrillo
Onorato per questa meditazione sul mio libro, ringrazio con affetto e stima la poetessa Marina Petrillo
Andrea Mariotti
La poesia si nutre di meditazione attiva e viola i sigilli dell’intelletto lasciando fluire la benefica linfa della
ri-flessione.
Grazie a te, Andrea