INTORNO A UNA POESIA DI MONICA MARTINELLI

Mi sono ricordato di un eloquente passo dantesco circa il nostro attuale rapporto col tempo, dopo aver letto l’ultima silloge poetica bilingue di Monica Martinelli, TAMING TIME (Translated by Kathrine Fidorra, Moira Egan and Damiano Abeni, Irene Sabetta; Gradiva Publications, 2025, con prefazione di Plinio Perilli). Il passo è il seguente: “Quando li piedi suoi lasciar la fretta,/ che l’onestade ad ogn’atto dismaga”; PURG. III, 10-11. E’ noto come tali versi si riferiscano alla ritrovata distensione di Virgilio e del pellegrino Dante dopo il rimprovero di Catone e prima dell’incontro, nel succitato canto, con l’indimenticabile Manfredi “biondo…bello e di gentile aspetto”; e qui l’ulteriore citazione dal poema sacro la dedico con gratitudine alla autrice di TAMING TIME, splendidamente fotografata da Mauro Corona a inizio di un libro davvero bello. Ma è ora di parlare della seconda poesia dalla sezione “Madre” della raccolta, e che parecchio mi sta a cuore, come il titolo di questa breve nota di lettura suggerisce. Modernamente senza “coperchio”, tale poesia dice nella sua interezza: “Prendersi per mano è proteggersi dal mondo/ unire due paure o due destini/ per non correre da soli/ o solo per appiglio d’aria,/ contrappeso al vento./ Stringersi per illudersi/ che un altro corpo ripari/ dalle cadute della vita./ Questo mi è mancato,/ la complicità di un volo/ d’uccelli sincronizzato;/ svegliarsi in due/ quando fuori piove/ solo freddo,/ l’abbraccio che scalda/ futuro e certezze./ Il sorriso velato della nostalgia/ per l’attesa di ciò che rimane,/ quando guardarsi/ significa salvarsi.” Ebbene, più di una ragione è alla base del mio apprezzamento di questi versi. Intanto e in sintesi, la calda, toccante ma sobria umanità di essi, vale a dire al riparo da qualsivoglia patetismo; effetto tutt’altro che scontato da parte di un “cuore messo a nudo” (il virgolettato intende riferirsi naturalmente a Baudelaire, in quanto chi scrive ricorda bene la militanza condivisa con Monica Martinelli all’interno della redazione di una rivista letteraria come “I fiori del male” stampata a Roma nel decennio addietro). Ma, nello specifico, tornando subito ai versi riportati, ecco che il segreto della loro forza consiste, forse, nella martellante iterazione degli infiniti sostantivati che si affollano davanti ai nostri occhi; alcuni dei quali in veste di riflessivi reciproci (la lirica in questione essendo del resto tutt’altro che sfuggita all’ottimo prefatore). Così che, scoprendo l’acqua calda, una volta di più si riconoscerà che è la lingua a comandare la poesia, questa poesia; la quale disegna uno spazio arioso per tutti i lettori, al di fuori della asfittica cella in cui sovente si resta imprigionati nelle nostre esistenze. Versi consapevoli insomma, illuminanti, quelli appena focalizzati di Monica Martinelli, nella loro profonda semplicità da intendere come punto d’arrivo; in grado, cioè, di sgominare la letterarietà più o meno estetizzante o, peggio, il pericolo di uno sterile autobiografismo. Da osservare infine, e non secondariamente, l’immanente e accorata bellezza della chiusa del testo: “quando guardarsi/ significa salvarsi”, la quale da sola avrebbe già autosufficienza poetica; e che a me, cultore della musica di Mozart, ha riportato alla mente -chissà perché- il sommesso ostinato a doppio coro “Salva me fons pietatis”, dall’incompiuto REQUIEM K626 (per Wolfgang Hildesheimer, noto studioso mozartiano, la punta più alta, nella sua brevità, del capolavoro del genio di Salisburgo).Ma non basta: sempre in questa umanissima chiusa della poesia di Monica Martinelli, non riconosciamo forse la potenza fecondatrice di chi ci ha generati e che, fin dalla più tenera età, ci dà un posto in questo mondo? ben coerente con il titolo e le tematiche del suo precedente libro, “L’abitudine degli occhi” (di cui alcune poesie sono riportate e tradotte in TAMING TIME), la Martinelli si conferma oggi una poetessa dalla voce ben riconoscibile, mirabilmente asciutta, nel fondere accurata osservazione fenomenica e moti interiori; ripensando, sempre a proposito della poesia in questione, all’inizio incisivo della seconda strofe: “Questo mi è mancato,/la complicità di un volo/ d’uccelli sincronizzato”. TAMING TIME è davvero un libro tutto da leggere, a parte la poesia sulla quale ho qui riflettuto e appartenente alla suddetta seconda sezione, “Madre”: vertice, a parer mio, del libro;  giacché la poetessa, nella sua assoluta e filtrata pacatezza d’accenti, soprattutto qui rinverdisce una volta di più ciò che Petrarca ha confessato una volta per tutte: “cantando il duol si disacerba”.

 

Andrea Mariotti

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