SU UNA CHINA DANTESCA DI LUIGI SIMONETTA

Accolto dalla cara Nella Panzarasa nello studio di Luigi Simonetta, venerdì scorso nel primo pomeriggio ho trascorso un’ora che non dimenticherò facilmente, osservando le chine acquerellate dedicate dal Maestro alla DIVINA COMMEDIA e risalenti al 1990. E qui il mio ringraziamento si estende necessariamente ad Anna Maria Curci, grazie alla quale, il 20 ottobre passato, mi sono avvicinato all’opera di Simonetta in occasione della presentazione, presso la Libreria romana ELI, del volume “Nel segno dell’Impressionismo”, pubblicato dal CENTRO INTERNAZIONALE DELLA GRAFICA DI VENEZIA, ottobre 2024 (omaggio dell’artista nel 150° anniversario della nascita del Movimento; con le riproduzioni dei dipinti accompagnate nel libro dalle poesie della Curci, tratte dalla raccolta “Insorte”, IL Convivio Editore, 2022). In tale occasione ero rimasto colpito dalle succitate chine, che appunto due giorni fa ho potuto osservare alla luce del giorno, nel silenzio e con tutta la calma del mondo. Ora questo brevissimo scritto che dedico al Maestro scomparso proprio nell’ottobre del 2024, intende essere soltanto una piccola e modesta testimonianza di un lettore del Sommo Poeta; augurandomi di poter conoscere più da vicino in futuro la vasta e composita opera figurativa di un artista capace di scrutare il proprio tempo con strumenti espressivi d’alto livello. Tutto ciò premesso, diverse sue illustrazioni del poema sacro hanno suscitato la mia ammirazione, ma soprattutto una di esse mi ha lasciato attonito per geniale estrosità, e cioè quella dedicata al canto XXX del PURGATORIO e commentata da Simonetta con le famose parole della Vita Nuova che in questo canto si riaffacciano trasfigurate; laddove i colori che rivestono Beatrice sono quelli delle tre virtù teologali (“donna m’apparve, sotto verde manto/ vestita di color di fiamma viva”; PURG.XXX, 32-3). E qui chiarisco più nel dettaglio le ragioni del mio stupore, ispirato, direi, quasi da una coincidenza cosmica di stampo junghiano. Il canto XXX del PURGATORIO in oggetto è infatti quello che amo di più fra tutti quelli del sacrato poema, per le ragioni che adesso dirò. Intanto, per una questione affettiva, è stato il primo da me imparato a memoria all’interno della COMMEDIA, gratificato in questo dall’apprezzamento del grande e compianto Luca Serianni. Si tratta in effetti di un canto d’importanza strategico-strutturale senza pari nel poema, per concorde riconoscimento della dantistica classica e più vicina a noi (Singleton per fare solo un nome, senza però trascurare lo spiazzante autore del “Canone Occidentale” Harold Bloom). All’altezza di questo canto, si registra infatti il passaggio netto dalla teatralità plastico-dialogica dell’INFERNO al “romanzo di un’anima”, per dirla con Antonio Enzo Quaglio (ENCICLOPEDIA EUROPEA); perché qui, proprio qui, avviene la “la discesa dell’eterno nel tempo”, secondo il limpido enunciato di Anna Maria Chiavacci Leonardi nel suo fondamentale commento dantesco. Carta canta, come si suol dire; essendo questo l’unico canto della COMMEDIA dove viene in effetti pronunziato il nome del pellegrino Dante da una petulante e quasi arcigna Beatrice (PURG, XXX, 55). Insomma, la scoperta vicenda personale del pellegrino viene a fondersi qui mirabilmente, grazie a un’arte suprema, con il massimo significato ideale del poema, e cioè il lungo e periglioso viaggio di uomo, exul inmeritus, dalla “selva oscura” fino alla visione di Dio. Ma è tempo di tornare al mio stupore di venerdì scorso, dopo queste precisazioni. Come ha infatti raffigurato Luigi Simonetta tale momento cruciale del viaggio dantesco? lo vediamo bene, fondendo genialmente l’antico e il moderno, con Beatrice in atto di scendere le scalette del grifone-aeroplano (il grifone, animale di due nature, corpo di leone e testa e ali d’aquila simboleggiando il Cristo, secondo una consolidata tradizione teologica). Insomma, l’artista ha reso oggetto dell’esperienza sensibile di chiunque qualcosa di celestiale, la succitata discesa dell’eterno nel tempo, con tratto estroso e sapiente; e ispirato da grande amore per la DIVINA COMMEDIA: sottolineando in ultimo con la sua intuizione figurativa la solitudine di Dante già “scemo” di Virgilio di fronte all’apparizione  del divino; prima di abbandonarsi, come un fanciullo, alle lacrime amare che nei versi successivi di questo canto purgatoriale saranno da lui versate in abbondanza, di fronte a una Beatrice che gli apparirà perfino maestoso e intimidente ammiraglio (PURG. XXX, 58-60).

 

Andrea Mariotti

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