SU UNA POESIA DI ELISABETTA PAMELA PETROLATI
Occorre leggere con attenzione la Nota dell’autrice posta al termine della sua ultima raccolta “Samurai e Ryū – L’uomo e il drago” (RPlibri, 2025; con prefazione di Domenico Pisana), per godere al meglio della natura di questo libro. Così che mi permetterò di riportare, di essa, qui di seguito alcune parole:
“Tutto è nato da una visione a occhi aperti, una di quelle finestre interiori o di coscienza…che inaspettatamente accadono. Una crepa dimensionale mi ha dato accesso, per qualche attimo, all’immersione in altra realtà…”. La poetessa ha veduto dunque il Giappone antico, trovandosi come assediata da immagini e sensazioni galoppanti; fino a essere condotta in luoghi archetipici situati nella profondità dell’animo umano. Sicché, le poesie della silloge sono da intendere come quadri immaginativi, atmosfere trascritte in versi in cui la Petrolati si trova tuttora immersa, come da lei affermato in conclusione di nota. Ora tali parole della poetessa potrebbero sembrare del tutto ignare della precettistica classica di matrice oraziana a me cara da sempre; non fosse per il fatto che, come osservato dall’ottimo prefatore, ci troviamo al cospetto, sfogliando il libro, di “trasparenti immagini…semplici e pudiche, esenti da orpelli e ricche di precetti e di esempi morali, che fanno di lei –la Petrolati-, squisitamente sensibile, una donna costruttrice di dialogo interculturale, e ne è dimostrazione la sua scelta di ricorrere a forme poetiche come l’haiku e il tanka”. Ebbene, fra le limpide poesie della raccolta, vorrei proporre all’attenzione di chi legge la seguente, tratta dalla sezione significativamente intitolata La donna e il suo tempio interiore:
GIARDINO GIAPPONESE
Usignoli si sono posati
lungo i rami di ciliegio
del mio rosso kimono.
Si aprono i paraventi
in carta di riso e sbocciano
i fiori dipinti sulle pareti damascate.
E’ un giardino di grazia
questa stanza del mio cuore
e io vi siedo in ginocchio.
Le mie bianche mani
si sollevano per accarezzare
i neri capelli del guerriero
che nella penombra
abbassa lo sguardo.
Sciogli l’obi del mio kimono,
o samurai,
fallo scivolare all’indietro
lasciando nude le mie spalle,
prendano il volo i giorni dell’addio
in ideogrammi fioriti.
Voglio amarti
senza ribellione
senza stanchezza
senza futuro,
voglio averti io
prima che ti abbia la guerra
un senso di grazia a al contempo di concretezza suscita la lettura di questi versi, credo. Talmente semplici e tersi da metterci in contatto diretto con l’anima di chi li ha scritti. Non un’anima “bella” e salottiera della poesia, tutt’altro; avvertendo qui il calore di una umanità schietta e consapevole delle nostre limitate forze, come pure della potenza dell’amore; assieme a una robusta dose di sfiducia nel futuro, questa sì di oraziana vocazione. Sino all’ultimo bellissimo verso (potenziato da quelli precedenti, scanditi dall’anafora): un ottonario di pura grana pascoliana, e cioè con accenti di prima, quarta e settima sillaba. A ritmare essi efficacemente la voracità insaziabile della guerra, eterna compagna di viaggio del gener frale; noi che viviamo oggi un accentuato disordine mondiale, con i valori di riferimento come evaporati. La poesia apparentemente “fuori luogo” di Elisabetta Pamela Petrolati si risolve pertanto in un dettato fermo, semplice e profondo; che il lettore attento e non prevenuto percepisce proveniente senza impedimenti dal cuore.
Andrea Mariotti
Elisabetta Pamela Petrolati E’ la POESIA! <3